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Jobs Act, incostituzionale escludere la reintegrazione in caso di licenziamento virtualmente nullo

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Jobs Act, incostituzionale escludere la reintegrazione in caso di licenziamento virtualmente nullo

Con la sentenza n. 22/2024 la Corte Costituzionale ha sancito l’illegittimità  dell’art. 2, comma 1, del D.lgs. 23/2015 (cosiddetto “Jobs Act”) con riferimento al termine “espressamente”; pertanto, come aveva ipotizzato la Corte di Cassazione nell’ordinanza di rimessione n. 83/2023, la limitazione dell’applicabilità della tutela reintegratoria ai lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti nelle sole ipotesi di nullità del licenziamento previste espressamente come tali è stata ritenuta non conforme alla Costituzione in ragione della violazione del criterio contenuto nella legge di delega (v. art. 1, comma 7, lett. c, Legge n. 183/2014).

Secondo la Consulta, il riferimento ai “licenziamenti nulli” contenuto nel criterio direttivo non prevedeva, e dunque non consentiva, alcuna distinzione tra nullità espresse e non espresse (altrimenti dette virtuali), contemplando una distinzione esclusivamente per i licenziamenti disciplinari ingiustificati. Non solo: l’opera del Legislatore delegato non è risultata conforme neppure in ragione del vuoto normativo che il metodo redazionale assunto ha determinato sulle fattispecie escluse, e cioè i licenziamenti nulli per violazione di norme imperative prive della espressa sanzione della nullità, rimaste senza specifica disciplina.

Pertanto, diversificando la tutela a seconda del carattere espresso o virtuale della nullità, il D.lgs. 23/2015 ha violato il criterio di delega fissato dall’art. 1, comma 7, lett. c della Legge n. 183/2014 e dunque anche l’ineludibile principio fissato dall’art. 76 della Carta Costituzionale.

Si tratta di una decisione dai chiari effetti espansivi sulla tutela del lavoratori ingiustamente licenziati che impatterà in maniera importante sui futuri giudizi di merito.

Per visualizzare la pronuncia, accedi al portale web della Consulta cliccando qui: Corte Costituzionale, sentenza n. 22/2024.

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