Sul valore della erronea certificazione INPS rilasciata al lavoratore
Con Sentenza n. 6643 del 2020, la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ha affermato che il valore certificativo delle comunicazioni rese dell’INPS è quello di piena prova ai fini del risarcimento dei danni solo se rilasciate a soggetti assicurati terzi rispetto al rapporto contributivo.
IL FATTO- Un lavoratore chiedeva innanzi al Tribunale competente la condanna dell’INPS a corrispondergli, tra l’altro, la pensione di anzianità con decorrenza dalla domanda amministrativa, nonché a risarcirgli i danni patrimoniali e non derivanti dalla discordanza tra il contenuto della certificazione rilasciatagli e la realtà del rapporto contributivo. I Giudici aditi in primo e secondo grado rigettavano il ricorso ritenendo che l’estratto conto certificativo inviato al lavoratore da parte dell’Ente con cui gli veniva indicata la sua posizione contributiva «non potesse fondare in costui alcun ragionevole affidamento, evidenziando un periodo in relazione al quale erano ancora in corso accertamenti circa i redditi da lui percepiti, e che, di conseguenza, nessun danno risarcibile egli poteva lamentare a causa della condotta dell’Istituto».
LA DECISIONE DELLA CORTE- La Suprema Corte di Cassazione ha chiarito sul punto che:
- la certificazione, «fa piena prova, fino a querela di falso, dei dati in possesso dell’ente previdenziale nonché degli accertamenti compiuti in occasione del rilascio del certificato medesimo, e che, tuttavia, il suo valore certificativo non si estende alla verità della situazione sostanziale»;
- quanto al diritto al risarcimento dei danni in favore dell’assicurato, «la responsabilità dell’ente può configurarsi soltanto ove le informazioni siano rese oppure omesse su specifica domanda dell’interessato e si riferiscano a dati di fatto concernenti la sua posizione assicurativa».
Il Collegio ha dunque affermato che «il valore propriamente certificativo delle comunicazioni possa logicamente predicarsi, sia pure ai limitati fini risarcitori (…) soltanto per le comunicazioni concernenti i dati di fatto della posizione assicurativa che siano state rilasciate ad assicurati che siano terzi rispetto al rapporto contributivo sulla cui base è modulato il loro rapporto previdenziale, non anche per le comunicazioni rilasciate ad assicurati che siano anche parte del rapporto contributivo stesso».
Pertanto, rilevando che nel caso di specie l’odierno ricorrente fosse parte del rapporto contributivo rispetto al quale si era verificata l’omissione, e che questi non potesse ritenersi obbligato a tenere per certo quanto dichiaratogli dall’INPS in merito alla consistenza del proprio rapporto contributivo e neppure «potendo fondare alcun affidamento meritevole di tutela su eventuali errori che l’INPS avesse compiuto nel comunicargli i dati relativi alla propria posizione», la Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore.
Il testo completo della decisione: Cassazione civile, Sez. Lavoro, Sentenza n. 6643 del 2020