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Sul principio di immediatezza della contestazione disciplinare

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Sul principio di immediatezza della contestazione disciplinare

Con Sentenza n. 8803 del 12 maggio 2020 la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ha chiarito che ai fini del licenziamento disciplinare anche i fatti non tempestivamente contestati possono esser considerati circostanze confermative della significatività di altri addebiti.

IL FATTO- Una dipendente di una nota società veniva licenziata per giusta causa, sulla base di una contestazione avente ad oggetto due illeciti disciplinari molto risalenti nel tempo. Il Tribunale di prime cure accoglieva il ricorso, mentre la Corte d’Appello riformava la decisione la decisione, escludendo la sussistenza della giusta causa in relazione al licenziamento intimato alla lavoratrice e ritenendo la tardività della contestazione in ordine al primo dei due fatti addebitati.

LA DECISIONE DEL COLLEGIO- La Suprema Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo del ricorso intentato dalla società datrice.

La Corte d’Appello aveva ritenuto, con riguardo “(…)all’illecito disciplinare cronologicamente antecedente, che l’accadimento ascritto, consistente nell’abbassamento del prezzo di capi di biancheria femminile, precedentemente scorporati dalle confezioni che ne includevano più di una unità ciascuna, attività reputata dall’Azienda contraria rispetto alla codificata disciplina della scontistica, era avvenuto in data 4 gennaio 2016, era stato segnalato mediante rapporto da un addetto alle vendite il 12 gennaio 2016 ma poi contestato soltanto unitamente all’altro accadimento – relativo a sconti praticati su beni alimentari – avvenuto in data 15 marzo” avesse leso il principio di immediatezza della contestazione”. Il ritardo, per la Corte d’Appello, “doveva ritenersi aver cagionato una eccessiva diluizione del lasso temporale, che finiva per “sacrificare soprattutto il plausibile affidamento che la lavoratrice poteva riporre sulla correttezza  delle proprie condotte di servizio” alla luce, peraltro, dell’assenza di qualsivoglia allegazione, da parte della datrice, circa una intempestiva acquisizione della notizia del fatto da cui sarebbe potuta discendere una posticipazione della iniziativa disciplinare.  Tale ritardata contestazione, ad avviso della Corte territoriale, rendeva il fatto inidoneo a costituire un accadimento disciplinarmente rilevante – tanto da reputarlo “tamquam non esset” – ed imponeva, quindi, di espungere ogni considerazione da esso  estrapolabile dalla contestazione”.

Tuttavia, ad avviso della Corte di Cassazione i Giudici di secondo grado non si sarebbero allineati al noto principio di diritto per cui “(…) i fatti non tempestivamente contestati possono esser considerati quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti (tempestivamente contestati) ai fini della valutazione della complessiva  gravità, anche sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del dipendente e della  proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio dell’imprenditore,  secondo un giudizio che deve essere riferito al concreto rapporto di lavoro e al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni (…)”.

Pertanto, sul presupposto che possa tenersi conto dei fatti storici addebitabili al lavoratore al fine di accertare la precisa natura e consistenza del fatto immediatamente da valutare in rapporto al provvedimento di licenziamento adottato dal datore di lavoro, la Suprema Corte ha accolto il primo motivo di ricorso della società.

Il testo completo della decisione: Cassazione civile, Sez. Lavoro, Sentenza n. 8803 del 2020

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