Reintegra ad oltre un anno dal licenziamento: al lavoratore spetta il risarcimento di 12 mensilità
Con Sentenza n. 22929 del 13 settembre 2019 la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ha ritenuto che in caso di licenziamento illegittimo con condanna del datore alla reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, il risarcimento del danno non può essere inferiore alle 12 mensilità quando l’effettiva reintegra abbia avuto luogo oltre un anno dopo il recesso datoriale.
IL FATTO – Con sentenza della Corte di appello di Roma veniva confermata la sentenza di primo grado con cui il Tribunale annullava il licenziamento intimato ad un lavoratore per superamento del periodo di comporto, ritenendo che non potessero rientrare nel computo del relativo periodo le assenze riconducibili ad una malattia di origine professionale e confermando la decisione del primo Giudice con riferimento alla determinazione dell’indennità risarcitoria, liquidata nel massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. La società datrice di lavoro ricorreva per la cassazione della sentenza.
LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE – La Suprema Corte si è soffermata sull’istituto in questione, per il quale in caso di licenziamento illegittimo oltre alla reintegra nel posto di lavoro il datore deve corrispondere al dipendente anche un risarcimento (massimo) pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto (nel caso in cui il periodo di tempo non lavorato sia pari o superiore a un anno).
Il Collegio ha precisato che il comma 4, art. 18, dello Statuto dei lavoratori, a norma del quale il risarcimento «non può essere superiore a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto», non prevede una forbice tra un minimo e un massimo. Pertanto, se il periodo di tempo non lavorato tra la data del licenziamento e quella della sentenza di reintegra è superiore ad un anno, il limite delle 12 mensilità opera non solo in funzione contenitiva, per impedire una liquidazione del danno superiore, ma anche come parametro dal quale il giudice non può discostarsi per disporre un importo differente.
La Suprema Corte ha dunque rigettato il ricorso del datore di lavoro.
Testo completo della decisione: Cassazione Civile, Sez. Lavoro, Ordinanza n. 22929 del 2019