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Pubblico impiego: mansioni superiori e diritto alla maggiore retribuzione

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Pubblico impiego: mansioni superiori e diritto alla maggiore retribuzione

Con la recente ordinanza n. 2275 del 2 febbraio 2021, la Sezione Lavoro della Suprema Corte ha nuovamente passato al vaglio il tema della connessione tra lo svolgimento di mansioni superiori ed il diritto alla maggiore retribuzione.

Gli Ermellini hanno ribadito come il pubblico dipendente cui siano state assegnate mansioni superiori (al di fuori dei casi consentiti) abbia diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 della Costituzione. Pertanto, il diritto al (maggiore) compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori non può mai essere condizionato dalla legittimità o meno dell’assegnazione delle stesse e può essere escluso soltanto qualora l’espletamento delle stesse sia avvenuto all’insaputa o addirittura contro la volontà della p.a. datrice di lavoro,  quando sia frutto di una “collusione” fra lavoratore e dirigente ovvero laddove sia riscontrabile la violazione di norme e principi basilari dell’ordinamento pubblicistico.

Ed infatti, come già rilevato in precedenza (Cass. nn. 18808/2013 e 19812/2016), una diversa interpretazione andrebbe a confliggere con l’intento del Legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato che va quindi riconosciuta nella misura indicata dall’art. 52, comma 5, del D.lgs. 165/2001.

L’ordinanza in argomento, ad ogni modo, fornisce il proprio specifico “contributo” in relazione alle modalità di accertamento dello svolgimento di mansioni superiori che deve essere effettuato con riguardo all’atto di macro-organizzazione con cui l’amministrazione ha adattato alla propria struttura i profili professionali previsti dalla contrattazione collettiva dovendosi escludere che a tale compito possa, in ipotesi, provvedere il giudice sostituendosi al datore di lavoro.

Per tale ragione, la Suprema Corte ha ritenuto erronea la sentenza appellata  nella parte in cui questa aveva sancito l’irrilevanza della previsione in pianta organica di una determinata posizione organizzativa, nonché dell’effettiva adibizione ad essa della lavoratrice.

Il testo completo della decisione: Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 2275 del 2021.

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