Pubblico impiego: l’indennità da illecita reiterazione del contratto a termine è esente da tassazione
Con Sentenza n.3429 del 28 aprile 2021, il Consiglio di Stato ha dichiarato che l’indennità riconosciuta al lavoratore pubblico in caso di illecita reiterazione di contratti di lavoro a termine, in quanto configurabile come perdita di “chance” di un’occupazione alternativa migliore, non è assoggettabile a tassazione.
IL FATTO- Il Tar di Bari aveva rigettavato il ricorso promosso da una dipendente pubblica che, a seguito della sentenza del locale tribunale del lavoro che aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto ad alcuni contratti di lavoro conclusi con la P.A. e aveva condannato quest’ultima al pagamento dell’indennità ex art. 32, comma 5, della legge n.183/10 (indennità da illecita reiterazione del contratto a termine), chiedeva l’ottemperanza della decisione, lamentando che la P.A. aveva eseguito solo parzialmente la sentenza, avendo trattenuto parte dell’importo indennitario a titolo di tassazione.
Avverso la sentenza del Tar, la dipendente pubblica ha proposto appello dinnanzi al Consiglio di Stato, censurando l’erroneità della sentenza di prime cure, per avere ritenuto che le somme oggetto della condanna giudiziale emessa dal giudice del lavoro dovessero essere sottoposte a tassazione.
LA DECISIONE DEL CONSIGLIO DI STATO- Il Consiglio di Stato ha ritenuto fondato il motivo di appello affermando che l’indennità da illecita reiterazione del contratto a termine non è soggetta a prelievo fiscale. In particolare, il Consiglio di Stato ha richiamato l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, secondo cui «in tema d’imposte sui redditi di lavoro dipendente, dalla lettura coordinata del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2, e art. 46 si ricava che, al fine di poter negare l’assoggettabilità ad IRPEF di una erogazione economica effettuata a favore del prestatore di lavoro da parte del datore di lavoro, è necessario accertare che la stessa non trovi la sua causa nel rapporto di lavoro o che tale erogazione, in base all’interpretazione della concreta volontà manifestata dalle parti, non trovi la fonte della sua obbligatorietà nè in redditi sostituiti, nè nel risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi futuri, cioè successivi alla cessazione od all’interruzione del rapporto di lavoro». Con particolare riferimento all’indennità riconosciuta al lavoratore pubblico in caso di illecita reiterazione di contratti di lavoro a termine, inoltre, la Cassazione ha affermato che «il danno risarcibile di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, non deriva dalla mancata conversione del rapporto, legittimamente esclusa sia secondo i parametri costituzionali che per quelli Europei, bensì dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A., ed è configurabile come perdita di “chance” di un’occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell’art. 1223 c.c.».
Il testo completo della decisione: Consiglio di Stato, Sentenza n.3429/2021