Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: il datore ha l’onere di provare l’impossibilità di ripescare il lavoratore
Con Sentenza n. 2234 del 30 gennaio 2020, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’onere della prova sull’impossibilità del repechage è a totale carico del datore.
IL FATTO- La dirigente di una scuola privata impugnava giudizialmente, innanzi al Tribunale competente, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo che le era stato irrogato dall’Istituto. La lavoratrice lamentava che le proprie mansioni non fossero state effettivamente soppresse e che, in ogni caso, l’Istituto datore non avesse adempiuto all’obbligo di repechage gravante sullo stesso, in quanto non le era stato offerto l’impiego di docente. Il Tribunale di prime cure disattendeva le ragioni della lavoratrice, mentre la Corte di appello riformava la sentenza in favore di quest’ultima.
LA DECISIONE DELLA CORTE- La Suprema Corte ha chiarito che è stato ormai superato l’orientamento in tema di obbligo di repechage che prospettava una ripartizione dell’onere della prova tra il lavoratore, che aveva l’onere di segnalare una possibile ricollocazione dello stesso nell’ambito dell’assetto organizzativo aziendale, ed il datore, al quale veniva richiesta la prova negativa dell’impossibilità di dare seguito a detta ipotesi.
Ritenendo, infatti, tale principio contrastante con:
- i fondamenti del diritto processuale, per cui gli oneri di allegazione e prova non possono che incombere sulla medesima parte;
- l’art. 5 della legge n. 604/1966, per cui l’onere della prova circa l’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza è posto a carico della parte datoriale, con esclusione di ogni incombenza, anche solo in via mediata, a carico del prestatore;
il Collegio ha concluso affermando che grava solo sul datore provare l’impossibilità della ricollocazione del dipendente destinatario del recesso per giustificato motivo oggettivo.
Sulla scorta di tanto, la Corte ha rigettato il ricorso dell’Istituto scolastico datore.
Il testo completo della decisione: Cassazione civile, Sez. Lavoro, Sentenza n. 2234 del 2020