Legittimo il licenziamento del lavoratore che non avvisa il datore delle irregolarità dei colleghi
Con Sentenza n. 30558 del 22 novembre 2019 la Suprema Corte, Sez. Lavoro, ha ritenuto che la condotta del dipendente che non avvisa il datore delle irregolarità poste in essere dai colleghi, integra una giusta causa di licenziamento per violazione dei doveri di diligenza e dell’obbligo di fedeltà.
IL FATTO – Un lavoratore impugnava giudizialmente il licenziamento per giusta causa irrogatogli per non aver denunciato al proprio datore di lavoro la prassi irregolare, di cui era venuto a conoscenza, che aveva preso piede nella procedura di aggiudicazione delle gare aventi ad oggetto la riparazione dei veicoli aziendali. Il Tribunale rigettava la domanda del lavoratore, mentre in secondo grado la Corte d’Appello accoglieva le doglianze dello stesso, ritenendo che il compito di vigilare sulla corretta procedura di affidamento delle gare e di riferire alla direzione aziendale eventuali irregolarità riscontrate spettasse esclusivamente al superiore gerarchico del ricorrente e, dunque, non al dipendente.
LA DECISIONE DELLA CORTE – La Suprema Corte – affermando preliminarmente che il criterio della diligenza non debba essere commisurato esclusivamente al tipo di attività oggetto di prestazione, alle mansioni e alla qualifica professionale del dipendente, dovendo essere strettamente correlato all’interesse dell’impresa – ha ribaltato quanto stabilito dalla Corte d’Appello.
Secondo i giudici di legittimità, infatti, al dovere di diligenza deve aggiungersi anche quello di fedeltà, che impone al lavoratore di astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati, ma anche da qualsiasi altra condotta contrastante con i doveri connessi all’inserimento del dipendente nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o idonea a creare situazioni di conflitto con le finalità della medesima o a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto. In tale senso, dunque, anche una condotta omissiva del prestatore integra una giusta causa di recesso, facendo venire meno la fiducia che il datore ripone nel proprio dipendente.
Sulla scorta di tanto la Suprema Corte ha accolto il ricorso della società.
Testo completo della decisione:Cassazione civ., Sez. Lavoro, Sentenza n. 30558 del 2019