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Legittime le dimissioni per fatti concludenti

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Legittime le dimissioni per fatti concludenti

Con Sentenza n. 25583 del 10 ottobre 2019 la Suprema Corte, Sez. Lavoro, ha ritenuto la validità delle dimissioni del lavoratore che, in assenza di una formale comunicazione, le rassegni per fatti concludenti, ossia con un comportamento tale da rivelare la scelta indiscutibile del prestatore di recedere dal rapporto.

IL FATTO –  Un lavoratore ricorreva giudizialmente per ottenere l’esecuzione forzata dell’obbligo di cui al verbale di conciliazione sottoscritto con l’ex datore di lavoro che prevedeva l’assunzione dello stesso da parte dell’impresa subentrata nell’appalto, a condizione che la cessazione del rapporto fosse avvenuta per causa non imputabile al dipendente. La società si costituiva in giudizio sostenendo che il prestatore non avesse diritto all’assunzione alle dipendenze della nuova appaltatrice, atteso che prima del licenziamento irrogatogli dall’originario datore questi aveva reperito una diversa occupazione. Il Giudice di prime cure dava ragione alla Società, mentre il Collegio di seconde cure accoglieva l’appello del lavoratore.

LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE – La Suprema Corte di Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, ha affermato che il recesso volontario del lavoratore può essere desunto anche da dichiarazioni o comportamenti che manifestino inequivocabilmente l’intento di recedere dal rapporto, come nel caso in cui il prestatore si sia allontanato dal posto di lavoro e non si sia più presentato per diversi giorni. Invero, ad avviso del Collegio, non essendo prevista alcuna forma convenzionale per il recesso del lavoratore, è possibile desumere la volontà del medesimo ogniqualvolta venga posto in essere un comportamento, anche meramente omissivo, che esterni esplicitamente o lasci presumere, secondo i principi dell’affidamento, l’intento di porre fine al rapporto di lavoro.

Su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del datore.

Testo completo della decisione: Cassazione civ., Sez. Lavoro, Sentenza n. 25583 del 2019

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