Dichiarata incostituzionale l’indennità proporzionata alla sola anzianità di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato
La Corte Costituzionale, con la sentenza emessa il 26 settembre 2018, n. 194, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (c.d. Jobs Act) – sia nel testo originario sia nel testo modificato dall’art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87 (c.d. Decreto Dignità – limitatamente alle parole «di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio».
Queste disposizioni prevedevano, in caso di licenziamento ingiustificato, la condanna del datore di lavoro ad un’indennità predeterminata per legge nella misura di due mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio, tra un minimo di tre e un massimo di 36 mensilità indipendentemente dall’anzianità lavorativa.
La Corte ha sottolineato, invece, che “in una vicenda che coinvolge la persona del lavoratore nel momento traumatico della sua espulsione dal lavoro, la tutela risarcitoria non può essere ancorata all’unico parametro dell’anzianità di servizio. Non possono che essere molteplici i criteri da offrire alla prudente discrezionale valutazione del giudice chiamato a dirimere la controversia. Tale discrezionalità si esercita, comunque, entro confini tracciati dal legislatore per garantire una calibrata modulazione del risarcimento dovuto, entro una soglia minima e una massima. All’interno di un sistema equilibrato di tutele, bilanciato con i valori dell’impresa, la discrezionalità del giudice risponde, infatti, all’esigenza di personalizzazione del danno subito dal lavoratore, pure essa imposta dal principio di eguaglianza.”
Di conseguenza la stessa Corte ha ritenuto che la norma in discussione “non realizza un equilibrato componimento degli interessi in gioco: la libertà di organizzazione dell’impresa da un lato e la tutela del lavoratore ingiustamente licenziato dall’altro. Con il prevedere una tutela economica che può non costituire un adeguato ristoro del danno prodotto, nei vari casi, dal licenziamento, né un’adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare ingiustamente, la disposizione censurata comprime l’interesse del lavoratore in misura eccessiva, al punto da risultare incompatibile con il principio di ragionevolezza.” Di qui la dichiarazione d’illegittimità della norma.
Il testo della sentenza è consultabile a questo link Corte Cost 194 del 2018