Cassazione: non è illegittima la sanzione disciplinare inflitta al lavoratore che rifiuta di sostituire un collega
#ANNO/NUMERO 2011/00548 #SEZ L #NRG 2007/15179
#NRG 2007/18861
#UDIENZA DEL 27/10/2010 #DEPOSITATO IL 12/01/2011
#MASSIMATA NO
#RICORRENTE Cobas Pt Cordinamento Di Base Dei Delegati P.t. Aderente Cub Di Cremona E Provincia
#AVV RICORRENTE Zezza Luigi
#RESISTENTE Poste Italiane S.p.a.
#AVV RESISTENTE Corna Anna Maria
REPUBBLICA ITALIANA Ud. 27/10/10
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO R.G.N. 15179/2007
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 18861/2007
SEZIONE LAVORO
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO R.G.N. 15179/2007
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 18861/2007
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –
Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –
Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15179-2007 proposto da:
COBAS PT CORDINAMENTO DI BASE DEI DELEGATI P.T. ADERENTE CUB DI
CREMONA e PROVINCIA, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DOM MINZONI 9,
presso lo studio dell’avvocato ZEZZA LUIGI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A.;
– intimata –
sul ricorso 18861-2007 proposto da:
POSTE ITALIANE: S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO
9, presso lo studio dell’avvocato xxx,
rappresentato e difeso dall’avvocato xxx, giusta delega
in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
COBAS PT CORDINAMENTO DI BASE DEI DELEGATI P.T. ADERENTE CUB DI
CREMONA e PROVINCIA, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DON MINZONI 9,
presso lo studio dov’avvocato AFELTRA ROBERTO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ZEZZA LUIGI, giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 31/2007 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,
depositata il 07/04/2007 r.g.n. 97/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
27/10/2010 dal Consigliere Dott. CURZIO Pietro;
udito l’Avvocato xxx per delega xxx;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
FATTO E DIRITTO
1. Il COBAS PT, Coordinamento di base dei delegati P.T., aderente
alla CUB di Cremona e provincia, chiese al giudice del lavoro del
Tribunale di Cremona di dichiarare antisindacale il comportamento di
Poste italiane spa consistente nell’applicazione di sanzioni
disciplinari ad alcuni portalettere che, in adesione ad una
astensione dal lavoro proclamata contro l’accordo collettivo 29
luglio 2004, si erano rifiutati di eseguire le prestazioni accessorie
(ogni prestazione accessoria comunque denominata) a partire dal 25
ottobre 2005 per 27 giorni; astensione proseguita per periodi
successivi per 21 mesi.
2. Con l’accordo l’azienda e le organizzazioni sindacali firmatarie
del ceni, avevano stabilito che l’agente di recapito (portalettere),
titolare di una “zona” ricompresa all’interno di un'”area
territoriale” (costituita dall’accorpamento di un numero di zone da 4
a 7, di massima 6), fa parte di un “team”, costituito da tutti gli
agenti assegnati alle zone che compongono l’area territoriale. I
portalettere che fanno parte di questo “team” sono tenuti a
sostituire gli agenti titolari di altre zone dell’area territoriale
in caso di loro assenza dal servizio, entro un limite individuale
mensile di 10 ore e con il limite giornaliero di 2 ore. Per tali
sostituzioni veniva previsto “un importo complessivo pari a 35 Euro,
da ripartire tra coloro che partecipano alla sostituzione dell’agente
assente”.
3. Il giudice del lavoro con decreto emesso ai sensi dell’art. 28
Stat. Lav. respinse il ricorso. Il Cobas propose opposizione, che
venne respinta dal Tribunale. Propose quindi appello, anche questo
respinto dalla Corte d’Appello di Brescia con sentenza pubblicata il
7 aprile 2007.
4. Il Cobas ricorre per cassazione, articolando tre motivi di
ricorso.
5. Poste italiane spa si difende con controricorso e propone ricorso
incidentale basato su di un unico motivo. Sono state depositate
memorie da entrambe le parti.
6. Con il primo motivo del ricorso principale il Cobas denunzia la
violazione dell’art. 40 Cost., della L. n. 300 del 1970, art. 28 e di
una serie di articoli della legge sullo sciopero nei servizi
essenziali (L. n. 146 del 1990, artt. 1, 2, 4, 12, 13 e 14), nonche’
vizio di motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il
giudizio.
7. Il secondo motivo attiene ad un vizio di “insufficiente o
contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per
il giudizio”; fatto cosi’ indicato: “lo sciopero oggetto di causa,
cosi’ come storicamente proclamato ed attuato”.
8. Con il terzo motivo il ricorrente principale denunzia la
violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 seg. c.c., in
relazione all’accordo collettivo 29 giugno 2004 in materia di
regolamentazione delle “aree territoriali”; art. 2697 c.c.; art. 40
Cost.. Insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un fatto
controverso e decisivo per il giudizio.
9. Con il ricorso incidentale Poste italiane spa denunzia che la
sentenza della Corte di Brescia nel rigettare l’eccezione di carenza
di legittimazione attiva sollevata da Poste contro il Cobas
ricorrente, avrebbe violato o falsamente applicato la L. n. 300 del
1970, art. 28 e dell’art. 100 c.p.c..
10. Il primo motivo da esaminare e’ proprio quest’ultimo proposto con
il ricorso incidentale, perche’ pone una questione che, se decisa nel
senso indicato da Poste, risolverebbe in radice la controversia.
11. Il quesito di diritto, formulato a conclusione dell’esposizione,
e’ il seguente: “Se un sindacato che non ha operato (o quanto meno,
non ha dimostrato di aver operato) su buona parte del territorio
nazionale possa agire in giudizio ai sensi dell’art. 28 Stat. Lav.”).
12. Il motivo non e’ fondato.
13. L’art. 28 riconosce legittimazione ad agire agli “organismi
locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano
interesse”. Deve trattarsi pertanto di organismo locale di una
“associazione sindacale nazionale”.
14. La sentenza della Corte di Brescia afferma correttamente il
principio di diritto secondo il quale un sindacato ha legittimazione
ad agire ai fini dell’art. 28 a condizione che possa essere ritenuto
“nazionale”. Nell’applicare questo principio di diritto la Corte ha
valutato il quadro probatorio, costituito dalla documentazione
prodotta dal sindacato. La Corte a tal fine ha considerato la
dimensione nazionale del sindacato sul piano della “struttura,
organizzazione ed azione”. La valutazione si basa pertanto sulla
applicazione di un criterio che tiene conto non solo
dell’articolazione strutturale, ma anche dell’attivita’ del
sindacato. Riscontrata una diffusione nazionale tanto sul piano della
organizzazione, quanto sul piano dinamico dell’attivita’, la Corte ha
ritenuto integrato il requisito del carattere nazionale
dell’associazione. Il principio di diritto affermato dalla Corte e’
conforme alla norma; la valutazione in concreto concerne il merito e,
in assenza di vizi della motivazione, non puo’ essere oggetto di
nuova formulazione in sede di giudizio di legittimita’.
15. Piu’ complesso e’ l’esame dei motivi del ricorso principale.
16. Le questioni esaminabili sono due, in quanto le altre censure
sono inammissibili. In particolare e’ proposto in modo inammissibile
il secondo motivo concernente un vizio di motivazione in cui non si
individua un fatto controverso e decisivo per il giudizio, come
invece richiede l’art. 360 c.p.c., n. 5. Inammissibile e’ inoltre
parte del terzo motivo perche’ non vi e’ quesito in relazione alla
pretesa violazione dell’art. 2697 c.c. in materia di onere della
prova; non vi e’ quesito in relazione alla asserita violazione degli
artt. 1362 e seg. c.c., censura che peraltro e’ aspecifica in quanto
tra i molteplici criteri fissati da tali norme non si precisa quali
sarebbero stati violati e in che modo. Infine, sempre con riferimento
al terzo quesito, il vizio di motivazione richiamato in rubrica non
viene illustrato nella esposizione. Non si specifica qual e’ il fatto
su cui la motivazione sarebbe insufficiente e contraddittoria,
perche’ e’ decisivo e controverso, in cosa consistono l’insufficienza
e la contraddittorieta’.
17. Sfrondato dalle parti inammissibili, il ricorso pone due
questioni, peraltro di grande rilievo.
18. La prima questione, in ordine logico sistematico, e’ quella posta
con il terzo motivo, che il ricorrente conclude con il seguente
quesito di diritto: “laddove un accordo collettivo contenga una
disposizione che obblighi il dipendente a sostituire, oltre la sua
prestazione contrattuale gia’ determinata, in quota parte oraria, un
collega assente, remunerandolo con una quota di retribuzione
inferiore alla maggiorazione per lavoro straordinario, la relativa
astensione collettiva da tale prestazione attiene al legittimo
esercizio del diritto di sciopero”.
19. La questione e’ di fondo. Se il comportamento dei lavoratori che
hanno aderito alla astensione proclamata dal Cobas ricorrente e’ una
forma di sciopero, la sanzione disciplinare e’ illegittima e la sua
applicazione costituisce violazione della L. n. 300 del 1970, art.
28, in quanto lo sciopero e’ un diritto costituzionalmente sancito e
il suo esercizio sospende il diritto al corrispettivo economico, ma
rende immune il comportamento da sanzioni. Se, al contrario, non e’
sciopero, il rifiuto della prestazione costituisce inadempimento
parziale degli obblighi contrattuali e l’applicazione della sanzione
disciplinare e’ legittima.
20. Non esiste una definizione legislativa dello sciopero. I
lineamenti del concetto sono stati individuati sul piano giuridico
tenendo conto della storia e delle prassi delle relazioni
industriali. Peraltro, la stessa dottrina che chiede all’interprete
questa attenzione al dato storico-sociologico ed una particolare
duttilita’ ermeneutica, al tempo stesso precisa che non puo’ essere
definita sciopero ogni manifestazione di lotta che i soggetti agenti
designino come tale.
21. Lo sciopero nei fatti si risolve nella mancata esecuzione in
forma collettiva della prestazione lavorativa, con corrispondente
perdita della relativa retribuzione. Questa mancata esecuzione si
estende per una determinata unita’ di tempo: una giornata di lavoro,
piu’ giornate, oppure periodi di tempo inferiori alla giornata,
sempre che non si vada oltre quella che viene definita “minima unita’
tecnico temporale”, al di sotto della quale l’attivita’ lavorativa
non ha significato esaurendosi in una erogazione di energie senza
scopo.
22. In tale logica, la giurisprudenza, dopo alcune oscillazioni,
riporto’ entro la nozione di sciopero anche la mancata prestazione
del lavoro straordinario (Cass., 28 giugno 1976, n. 2480).
L’astensione anche in questo caso ha una precisa delimitazione
temporale e concerne tutte le attivita’ richieste al lavoratore.
23. Al contrario, ci si colloca al di fuori del diritto di sciopero
quando il rifiuto di rendere la prestazione per una data unita’ di
tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o piu’ tra i compiti
che il lavoratore e’ tenuto a svolgere. E’ il caso del c.d. sciopero
delle mansioni, comportamento costantemente ritenuto estraneo al
concetto di sciopero e pertanto illegittimo dalla giurisprudenza
(Cass., 28 marzo 1986, n. 2214).
24. Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Brescia ha accertato e
motivato il perche’ l’astensione “non ha avuto per oggetto il lavoro
straordinario, ne’ prestazioni individuabili e suscettibili di essere
rifiutate in via autonoma rispetto alla prestazione ordinaria
normalmente retribuita”.
25. Il rifiuto di effettuare la consegna di una parte della
corrispondenza di competenza di un collega assegnatario di altra zona
della medesima area territoriale, in violazione dell’obbligo di
sostituzione previsto dal contratto collettivo, pertanto, non e’
astensione dal lavoro straordinario, ne’ astensione per un orario
delimitato e predefinito, ma e’ rifiuto di effettuare una delle
prestazioni dovute. Situazione assimilabile a quella del c.d.
sciopero della mansioni, perche’, all’interno del complesso di
attivita’ che il lavoratore e’ tenuto a svolgere, l’omissione
concerne uno specifico di tali obblighi.
26. L’astensione pertanto non puo’ essere qualificata sciopero e
resta un mero inadempimento parziale della prestazione dovuta. Di
conseguenza, la sanzione disciplinare non e’ illegittima e il
comportamento datoriale non e’ antisindacale.
27. Questa conclusione non solo e’ in linea con le coordinate
generali prima tracciate, ma anche con la specifica giurisprudenza di
legittimita’ sull’argomento: Cass. 25 novembre 2003, n. 17995,
occupandosi di una situazione analoga, concernente il sistema di
sostituzioni entro l’ambito della c.d. areola (antecedente dell’area
territoriale nell’organizzazione delle Poste), ha affermato che il
rifiuto di effettuare la sostituzione del collega assente, e’
“rifiuto di esecuzione di una parte delle mansioni, legittimamente
richiedibili al lavoratore” e “non costituisce esercizio del diritto
di sciopero”, con la conseguenza che deve escludersi
l’antisindacalita’ della scelta datoriale di applicare una sanzione
disciplinare.
28. La seconda questione da affrontare concerne il rapporto con le
determinazioni della Commissione di garanzia. Il quesito formulato
dal ricorrente e’ il seguente: “in tema di sciopero nei servizi
essenziali ed in particolare in quello dei dipendenti di Poste
italiane, attinente alla liberta’ di comunicazione, assoggettato alla
normativa di regolamentazione, per sciopero deve intendersi ogni
forma di azione sindacale comportante una riduzione del servizio tale
da determinare un pregiudizio per tutti gli utenti, cio’ valendo
anche in caso di astensione collettiva dal lavoro straordinario o
considerato aggiuntivo e, in ogni caso, l’esercizio del potere
disciplinare relativo all’astensione dal lavoro collettiva e’ di
esclusiva competenza della Commissione di garanzia che eventualmente
prescrive al datore di lavoro la sanzione, con la conseguenza che,
nel caso di specie, l’abuso del potere disciplinare da parte di Poste
italiane costituisce comportamento antisindacale poiche’ teso a
impedire o limitare l’esercizio del diritto di sciopero”.
29. Si e’ gia’ detto del perche’ l’astensione in esame non
costituisce esercizio del diritto di sciopero. Deve aggiungersi che
la nozione di sciopero proposta dal ricorrente non e’ condivisibile,
perche’ non puo’ definirsi sciopero ogni astensione sindacale che
comporti una riduzione del servizio. Ne’, invero, lo sciopero si
caratterizza per il fatto che determina un danno per gli utenti.
Questo puo’ essere un effetto collaterale, ma non e’ elemento
costitutivo dello sciopero; molti scioperi non danneggiano gli
utenti.
30. La definizione di sciopero proposta dal sindacato ricorrente
invero richiama l’espressione usata dalla Commissione di garanzia nel
provvedimento del 7 marzo 2002 allegato al ricorso, che peraltro non
si occupa delle astensioni contro l’accordo sulle aree territoriali,
che del resto e’ del 2004, bensi’ in generale gli scioperi dei
dipendenti delle Poste. In ogni caso, tale provvedimento non incide
sulla soluzione delle questioni oggetto di questa controversia,
31. Nel delineare il suo campo di applicazione, la delibera precisa
che “la presente disciplina si applica ad ogni forma di azione
sindacale, comunque denominata, comportante una riduzione del
servizio tale da determinare un pregiudizio per tutti gli utenti”. Ed
aggiunge che si applica anche al caso di astensione dal lavoro
straordinario.
32. La Commissione, con tali espressioni, si prefiggeva solo, nella
sua ottica specifica, di limitare le conseguenze di azioni sindacali
implicanti danni per l’utenza, siano o non siano qualificabili come
sciopero. Qualora si tratti di azioni qualificabili come sciopero
varranno le esenzioni dal diritto comune dei contratti derivanti
dall’art. 40 Cost.. Al contrario, in caso di azioni estranee a tale
ambito, l’esenzione non operera’ e si applicheranno le regole
civilistiche ordinarie in materia di inadempimento delle obbligazioni
prima esaminate. L’intervento della Commissione di garanzia non
incide su questo ordine di conseguenze, ne’, in caso di inadempimento
della prestazione non qualificabile come sciopero, incide sul potere
disciplinare del datore di lavoro.
33. Anche il ricorso principale, al pari del ricorso incidentale,
deve quindi essere rigettato. Tale conclusione impone la
compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa le spese.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2011
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –
Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –
Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15179-2007 proposto da:
COBAS PT CORDINAMENTO DI BASE DEI DELEGATI P.T. ADERENTE CUB DI
CREMONA e PROVINCIA, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DOM MINZONI 9,
presso lo studio dell’avvocato ZEZZA LUIGI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A.;
– intimata –
sul ricorso 18861-2007 proposto da:
POSTE ITALIANE: S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO
9, presso lo studio dell’avvocato xxx,
rappresentato e difeso dall’avvocato xxx, giusta delega
in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
COBAS PT CORDINAMENTO DI BASE DEI DELEGATI P.T. ADERENTE CUB DI
CREMONA e PROVINCIA, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DON MINZONI 9,
presso lo studio dov’avvocato AFELTRA ROBERTO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ZEZZA LUIGI, giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 31/2007 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,
depositata il 07/04/2007 r.g.n. 97/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
27/10/2010 dal Consigliere Dott. CURZIO Pietro;
udito l’Avvocato xxx per delega xxx;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
FATTO E DIRITTO
1. Il COBAS PT, Coordinamento di base dei delegati P.T., aderente
alla CUB di Cremona e provincia, chiese al giudice del lavoro del
Tribunale di Cremona di dichiarare antisindacale il comportamento di
Poste italiane spa consistente nell’applicazione di sanzioni
disciplinari ad alcuni portalettere che, in adesione ad una
astensione dal lavoro proclamata contro l’accordo collettivo 29
luglio 2004, si erano rifiutati di eseguire le prestazioni accessorie
(ogni prestazione accessoria comunque denominata) a partire dal 25
ottobre 2005 per 27 giorni; astensione proseguita per periodi
successivi per 21 mesi.
2. Con l’accordo l’azienda e le organizzazioni sindacali firmatarie
del ceni, avevano stabilito che l’agente di recapito (portalettere),
titolare di una “zona” ricompresa all’interno di un'”area
territoriale” (costituita dall’accorpamento di un numero di zone da 4
a 7, di massima 6), fa parte di un “team”, costituito da tutti gli
agenti assegnati alle zone che compongono l’area territoriale. I
portalettere che fanno parte di questo “team” sono tenuti a
sostituire gli agenti titolari di altre zone dell’area territoriale
in caso di loro assenza dal servizio, entro un limite individuale
mensile di 10 ore e con il limite giornaliero di 2 ore. Per tali
sostituzioni veniva previsto “un importo complessivo pari a 35 Euro,
da ripartire tra coloro che partecipano alla sostituzione dell’agente
assente”.
3. Il giudice del lavoro con decreto emesso ai sensi dell’art. 28
Stat. Lav. respinse il ricorso. Il Cobas propose opposizione, che
venne respinta dal Tribunale. Propose quindi appello, anche questo
respinto dalla Corte d’Appello di Brescia con sentenza pubblicata il
7 aprile 2007.
4. Il Cobas ricorre per cassazione, articolando tre motivi di
ricorso.
5. Poste italiane spa si difende con controricorso e propone ricorso
incidentale basato su di un unico motivo. Sono state depositate
memorie da entrambe le parti.
6. Con il primo motivo del ricorso principale il Cobas denunzia la
violazione dell’art. 40 Cost., della L. n. 300 del 1970, art. 28 e di
una serie di articoli della legge sullo sciopero nei servizi
essenziali (L. n. 146 del 1990, artt. 1, 2, 4, 12, 13 e 14), nonche’
vizio di motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il
giudizio.
7. Il secondo motivo attiene ad un vizio di “insufficiente o
contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per
il giudizio”; fatto cosi’ indicato: “lo sciopero oggetto di causa,
cosi’ come storicamente proclamato ed attuato”.
8. Con il terzo motivo il ricorrente principale denunzia la
violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 seg. c.c., in
relazione all’accordo collettivo 29 giugno 2004 in materia di
regolamentazione delle “aree territoriali”; art. 2697 c.c.; art. 40
Cost.. Insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un fatto
controverso e decisivo per il giudizio.
9. Con il ricorso incidentale Poste italiane spa denunzia che la
sentenza della Corte di Brescia nel rigettare l’eccezione di carenza
di legittimazione attiva sollevata da Poste contro il Cobas
ricorrente, avrebbe violato o falsamente applicato la L. n. 300 del
1970, art. 28 e dell’art. 100 c.p.c..
10. Il primo motivo da esaminare e’ proprio quest’ultimo proposto con
il ricorso incidentale, perche’ pone una questione che, se decisa nel
senso indicato da Poste, risolverebbe in radice la controversia.
11. Il quesito di diritto, formulato a conclusione dell’esposizione,
e’ il seguente: “Se un sindacato che non ha operato (o quanto meno,
non ha dimostrato di aver operato) su buona parte del territorio
nazionale possa agire in giudizio ai sensi dell’art. 28 Stat. Lav.”).
12. Il motivo non e’ fondato.
13. L’art. 28 riconosce legittimazione ad agire agli “organismi
locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano
interesse”. Deve trattarsi pertanto di organismo locale di una
“associazione sindacale nazionale”.
14. La sentenza della Corte di Brescia afferma correttamente il
principio di diritto secondo il quale un sindacato ha legittimazione
ad agire ai fini dell’art. 28 a condizione che possa essere ritenuto
“nazionale”. Nell’applicare questo principio di diritto la Corte ha
valutato il quadro probatorio, costituito dalla documentazione
prodotta dal sindacato. La Corte a tal fine ha considerato la
dimensione nazionale del sindacato sul piano della “struttura,
organizzazione ed azione”. La valutazione si basa pertanto sulla
applicazione di un criterio che tiene conto non solo
dell’articolazione strutturale, ma anche dell’attivita’ del
sindacato. Riscontrata una diffusione nazionale tanto sul piano della
organizzazione, quanto sul piano dinamico dell’attivita’, la Corte ha
ritenuto integrato il requisito del carattere nazionale
dell’associazione. Il principio di diritto affermato dalla Corte e’
conforme alla norma; la valutazione in concreto concerne il merito e,
in assenza di vizi della motivazione, non puo’ essere oggetto di
nuova formulazione in sede di giudizio di legittimita’.
15. Piu’ complesso e’ l’esame dei motivi del ricorso principale.
16. Le questioni esaminabili sono due, in quanto le altre censure
sono inammissibili. In particolare e’ proposto in modo inammissibile
il secondo motivo concernente un vizio di motivazione in cui non si
individua un fatto controverso e decisivo per il giudizio, come
invece richiede l’art. 360 c.p.c., n. 5. Inammissibile e’ inoltre
parte del terzo motivo perche’ non vi e’ quesito in relazione alla
pretesa violazione dell’art. 2697 c.c. in materia di onere della
prova; non vi e’ quesito in relazione alla asserita violazione degli
artt. 1362 e seg. c.c., censura che peraltro e’ aspecifica in quanto
tra i molteplici criteri fissati da tali norme non si precisa quali
sarebbero stati violati e in che modo. Infine, sempre con riferimento
al terzo quesito, il vizio di motivazione richiamato in rubrica non
viene illustrato nella esposizione. Non si specifica qual e’ il fatto
su cui la motivazione sarebbe insufficiente e contraddittoria,
perche’ e’ decisivo e controverso, in cosa consistono l’insufficienza
e la contraddittorieta’.
17. Sfrondato dalle parti inammissibili, il ricorso pone due
questioni, peraltro di grande rilievo.
18. La prima questione, in ordine logico sistematico, e’ quella posta
con il terzo motivo, che il ricorrente conclude con il seguente
quesito di diritto: “laddove un accordo collettivo contenga una
disposizione che obblighi il dipendente a sostituire, oltre la sua
prestazione contrattuale gia’ determinata, in quota parte oraria, un
collega assente, remunerandolo con una quota di retribuzione
inferiore alla maggiorazione per lavoro straordinario, la relativa
astensione collettiva da tale prestazione attiene al legittimo
esercizio del diritto di sciopero”.
19. La questione e’ di fondo. Se il comportamento dei lavoratori che
hanno aderito alla astensione proclamata dal Cobas ricorrente e’ una
forma di sciopero, la sanzione disciplinare e’ illegittima e la sua
applicazione costituisce violazione della L. n. 300 del 1970, art.
28, in quanto lo sciopero e’ un diritto costituzionalmente sancito e
il suo esercizio sospende il diritto al corrispettivo economico, ma
rende immune il comportamento da sanzioni. Se, al contrario, non e’
sciopero, il rifiuto della prestazione costituisce inadempimento
parziale degli obblighi contrattuali e l’applicazione della sanzione
disciplinare e’ legittima.
20. Non esiste una definizione legislativa dello sciopero. I
lineamenti del concetto sono stati individuati sul piano giuridico
tenendo conto della storia e delle prassi delle relazioni
industriali. Peraltro, la stessa dottrina che chiede all’interprete
questa attenzione al dato storico-sociologico ed una particolare
duttilita’ ermeneutica, al tempo stesso precisa che non puo’ essere
definita sciopero ogni manifestazione di lotta che i soggetti agenti
designino come tale.
21. Lo sciopero nei fatti si risolve nella mancata esecuzione in
forma collettiva della prestazione lavorativa, con corrispondente
perdita della relativa retribuzione. Questa mancata esecuzione si
estende per una determinata unita’ di tempo: una giornata di lavoro,
piu’ giornate, oppure periodi di tempo inferiori alla giornata,
sempre che non si vada oltre quella che viene definita “minima unita’
tecnico temporale”, al di sotto della quale l’attivita’ lavorativa
non ha significato esaurendosi in una erogazione di energie senza
scopo.
22. In tale logica, la giurisprudenza, dopo alcune oscillazioni,
riporto’ entro la nozione di sciopero anche la mancata prestazione
del lavoro straordinario (Cass., 28 giugno 1976, n. 2480).
L’astensione anche in questo caso ha una precisa delimitazione
temporale e concerne tutte le attivita’ richieste al lavoratore.
23. Al contrario, ci si colloca al di fuori del diritto di sciopero
quando il rifiuto di rendere la prestazione per una data unita’ di
tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o piu’ tra i compiti
che il lavoratore e’ tenuto a svolgere. E’ il caso del c.d. sciopero
delle mansioni, comportamento costantemente ritenuto estraneo al
concetto di sciopero e pertanto illegittimo dalla giurisprudenza
(Cass., 28 marzo 1986, n. 2214).
24. Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Brescia ha accertato e
motivato il perche’ l’astensione “non ha avuto per oggetto il lavoro
straordinario, ne’ prestazioni individuabili e suscettibili di essere
rifiutate in via autonoma rispetto alla prestazione ordinaria
normalmente retribuita”.
25. Il rifiuto di effettuare la consegna di una parte della
corrispondenza di competenza di un collega assegnatario di altra zona
della medesima area territoriale, in violazione dell’obbligo di
sostituzione previsto dal contratto collettivo, pertanto, non e’
astensione dal lavoro straordinario, ne’ astensione per un orario
delimitato e predefinito, ma e’ rifiuto di effettuare una delle
prestazioni dovute. Situazione assimilabile a quella del c.d.
sciopero della mansioni, perche’, all’interno del complesso di
attivita’ che il lavoratore e’ tenuto a svolgere, l’omissione
concerne uno specifico di tali obblighi.
26. L’astensione pertanto non puo’ essere qualificata sciopero e
resta un mero inadempimento parziale della prestazione dovuta. Di
conseguenza, la sanzione disciplinare non e’ illegittima e il
comportamento datoriale non e’ antisindacale.
27. Questa conclusione non solo e’ in linea con le coordinate
generali prima tracciate, ma anche con la specifica giurisprudenza di
legittimita’ sull’argomento: Cass. 25 novembre 2003, n. 17995,
occupandosi di una situazione analoga, concernente il sistema di
sostituzioni entro l’ambito della c.d. areola (antecedente dell’area
territoriale nell’organizzazione delle Poste), ha affermato che il
rifiuto di effettuare la sostituzione del collega assente, e’
“rifiuto di esecuzione di una parte delle mansioni, legittimamente
richiedibili al lavoratore” e “non costituisce esercizio del diritto
di sciopero”, con la conseguenza che deve escludersi
l’antisindacalita’ della scelta datoriale di applicare una sanzione
disciplinare.
28. La seconda questione da affrontare concerne il rapporto con le
determinazioni della Commissione di garanzia. Il quesito formulato
dal ricorrente e’ il seguente: “in tema di sciopero nei servizi
essenziali ed in particolare in quello dei dipendenti di Poste
italiane, attinente alla liberta’ di comunicazione, assoggettato alla
normativa di regolamentazione, per sciopero deve intendersi ogni
forma di azione sindacale comportante una riduzione del servizio tale
da determinare un pregiudizio per tutti gli utenti, cio’ valendo
anche in caso di astensione collettiva dal lavoro straordinario o
considerato aggiuntivo e, in ogni caso, l’esercizio del potere
disciplinare relativo all’astensione dal lavoro collettiva e’ di
esclusiva competenza della Commissione di garanzia che eventualmente
prescrive al datore di lavoro la sanzione, con la conseguenza che,
nel caso di specie, l’abuso del potere disciplinare da parte di Poste
italiane costituisce comportamento antisindacale poiche’ teso a
impedire o limitare l’esercizio del diritto di sciopero”.
29. Si e’ gia’ detto del perche’ l’astensione in esame non
costituisce esercizio del diritto di sciopero. Deve aggiungersi che
la nozione di sciopero proposta dal ricorrente non e’ condivisibile,
perche’ non puo’ definirsi sciopero ogni astensione sindacale che
comporti una riduzione del servizio. Ne’, invero, lo sciopero si
caratterizza per il fatto che determina un danno per gli utenti.
Questo puo’ essere un effetto collaterale, ma non e’ elemento
costitutivo dello sciopero; molti scioperi non danneggiano gli
utenti.
30. La definizione di sciopero proposta dal sindacato ricorrente
invero richiama l’espressione usata dalla Commissione di garanzia nel
provvedimento del 7 marzo 2002 allegato al ricorso, che peraltro non
si occupa delle astensioni contro l’accordo sulle aree territoriali,
che del resto e’ del 2004, bensi’ in generale gli scioperi dei
dipendenti delle Poste. In ogni caso, tale provvedimento non incide
sulla soluzione delle questioni oggetto di questa controversia,
31. Nel delineare il suo campo di applicazione, la delibera precisa
che “la presente disciplina si applica ad ogni forma di azione
sindacale, comunque denominata, comportante una riduzione del
servizio tale da determinare un pregiudizio per tutti gli utenti”. Ed
aggiunge che si applica anche al caso di astensione dal lavoro
straordinario.
32. La Commissione, con tali espressioni, si prefiggeva solo, nella
sua ottica specifica, di limitare le conseguenze di azioni sindacali
implicanti danni per l’utenza, siano o non siano qualificabili come
sciopero. Qualora si tratti di azioni qualificabili come sciopero
varranno le esenzioni dal diritto comune dei contratti derivanti
dall’art. 40 Cost.. Al contrario, in caso di azioni estranee a tale
ambito, l’esenzione non operera’ e si applicheranno le regole
civilistiche ordinarie in materia di inadempimento delle obbligazioni
prima esaminate. L’intervento della Commissione di garanzia non
incide su questo ordine di conseguenze, ne’, in caso di inadempimento
della prestazione non qualificabile come sciopero, incide sul potere
disciplinare del datore di lavoro.
33. Anche il ricorso principale, al pari del ricorso incidentale,
deve quindi essere rigettato. Tale conclusione impone la
compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa le spese.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2011