Cassazione: lecita la perquisizione personale del lavoratore, ma non quella dell’auto o dell’abitazione
Il datore di lavoro può avvalersi di un investigatore privato per effettuare controlli sul lavoratore infedele. Questo è quanto ha affermato la Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 14197/2012 ha precisato che se la perquisizione personale del lavoratore è lecita, tale non è quella sulla sua auto o nella sua abitazione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –
Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –
Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo
grado che aveva rigettato la domanda proposta da \Monticciolo
Edoardo\ nei confronti della societa’ Villa Igea Gestioni Alberghiere
spa perche’ venisse accertata l’illegittimita’ del licenziamento
intimatogli dalla societa’ con lettera del 19.5.2005 per avere
sottratto beni di proprieta’ dell’azienda.
A tali conclusioni la Corte territoriale e’ pervenuta – dopo avere
respinto l’eccezione di improcedibilita’ dell’appello sollevata dalla
societa’ Acqua Marcia Turismo spa (societa’ incorporante la Villa
Igea Gestioni Alberghiere spa) e le eccezioni sollevate dal
lavoratore in ordine alla necessita’ della previa affissione del
codice disciplinare ed alla legittimita’ del ricorso da parte del
datore di lavoro all’attivita’ di investigatori privati per il
controllo dell’operato dei propri dipendenti – osservando che la
condotta addebitata al lavoratore, consistita nell’essersi
appropriato di un quantitativo di beni aziendali che non poteva
essere giustificato dalla prassi secondo cui alcuni generi alimentari
non consumati potevano essere portati via dal personale, doveva
ritenersi tale da comportare una irrimediabile lesione dell’elemento
fiduciario e da giustificare cosi’ il recesso del datore di lavoro.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione \Monticciolo Edoardo\
affidandosi a tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso la
societa’ Acqua Marcia, che ha proposto anche ricorso incidentale
fondato su un unico motivo.
La societa’ ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve essere disposta la riunione del ricorso
principale e di quello incidentale, ex art. 335 c.p.c., trattandosi
di impugnazioni proposte avverso la stessa sentenza.
1.- Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione
della L. n. 300 del 1970, art. 7, nonche’ vizio di motivazione, nella
parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che, nella specie, non
vi fosse necessita’ dell’affissione del codice disciplinare in
relazione ad addebiti che riguardavano la violazione di norme di
legge e comunque di doveri fondamentali del lavoratore.
2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione della L. n. 300 del
1970, artt. 3 e 6, relativamente alla statuizione con la quale la
Corte territoriale ha ritenuto che il ricorso da parte del datore di
lavoro all’attivita’ di investigatori privati fosse giustificato
poiche’, nella specie, si trattava di atti illeciti commessi dal
dipendente non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione
lavorativa.
3.- Con il terzo motivo si denuncia il vizio di motivazione in
relazione al fatto controverso e decisivo per il giudizio,
rappresentato dalla proporzionalita’ tra la sanzione irrogata ed il
fatto contestato.
4.- Con il ricorso incidentale la societa’ denuncia violazione
dell’art. 2448 c.c., artt. 137 e 324 c.p.c., riproponendo l’eccezione
di improcedibilita’ dell’appello, gia’ respinta dalla Corte
territoriale, evidenziando che, nella specie, al giudice del gravame
era sfuggito che la sentenza era stata notificata ad istanza della
societa’ Acqua Marcia, con l’espressa indicazione che tale societa’
aveva “fuso per incorporazione la Villa Igea Gestioni Alberghiere”, e
che la notifica del ricorso in appello (alla societa’ Villa Igea) era
stata effettuata, quindi, nei confronti di una societa’ estinta. Ne’
il vizio poteva ritenersi sanato per effetto della costituzione in
giudizio della societa’ Acqua Marcia Turismo spa, attesa la natura
perentoria del termine di impugnazione e l’eccezione formulata al
riguardo dall’appellata.
5.- Esaminando nell’ordine logico le questioni proposte dalle parti,
deve anzitutto essere respinta l’eccezione di improcedibilita’
dell’appello riproposta dalla societa’ con il ricorso incidentale.
L’eccezione e’ infondata in quanto, come questa Corte ha gia’ avuto
modo di precisare (Cass. n. 16099/2006), in caso di proposizione
dell’atto di appello nei confronti di societa’ incorporata da
un’altra societa’, la costituzione in giudizio da parte della
societa’ incorporante sana il vizio dell’atto di citazione con
effetto “ex tunc”, in applicazione della norma contenuta nell’art.
164 c.p.c., comma 3, (nel testo sostituito dalla L. 26 novembre 1990,
n. 353, art. 9), a tenore della quale la costituzione del convenuto
sana i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali e
processuali della domanda.
6.- Il rilievo che precede ha carattere assorbente. Va rilevato, per
completezza, che, a seguito della nuova formulazione dell’art. 2504
bis c.c., in base al cui primo comma “la societa’ che risulta dalla
fusione o quella incorporata assumono i diritti e gli obblighi delle
societa’ partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro
rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”, la fusione
configura una vicenda meramente evotutivo-modificativa del medesimo
soggetto giuridico (allo stesso modo di quanto avviene con la
trasformazione), senza la produzione di alcun effetto successorio ed
estintivo, con la conseguenza che essa, implicando ora anche la
continuita’ nei rapporti processuali, non comporta piu’, a norma
degli artt. 110, 299 e 300 c.p.c., interruzione del processo in cui
sia parte una societa’ partecipante, per l’appunto, ad una fusione
(Cass. n. 14526/2006, Cass. sez. unite n. 2637/2006).
7.- Il primo motivo del ricorso principale e’ infondato. La Corte di
merito si e’, infatti, uniformata al principio di diritto
ripetutamente enunciato da questa Corte (cfr. ex plurimis Cass. n.
27104/2006, Cass. n. 19306/2004) secondo cui la pubblicita’ del
codice disciplinare, necessaria, in ogni caso, al fine della
validita’ delle sanzioni disciplinari conservative, non e’ necessaria
al fine della validita’ del licenziamento disciplinare, qualora il
licenziamento sia intimato per giusta causa o giustificato motivo
soggettivo, come definiti dalla legge, mentre e’ necessaria qualora
lo stesso licenziamento sia intimato per specifiche ipotesi
giustificatrici del recesso previste da normativa secondaria
collettiva o legittimamente posta dal datore di lavoro.
8.- Anche il secondo motivo e’ infondato. Questa Corte ha gia’
precisato (cfr. ex plurimis Cass. n. 18821/2008, Cass. n. 9167/2003)
che le disposizioni (L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3) che delimitano
– a tutela della liberta’ e dignita’ del lavoratore, in coerenza con
disposizioni e principi costituzionali – la sfera di intervento di
presone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi –
e cioe’ per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di
vigilanza dell’attivita’ lavorativa (art. 3) – non precludono il
potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti
(come le agenzie investigative) diversi dalle guardie particolari
giurate per la tutela del patrimonio aziendale, ne’, rispettivamente,
di controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di
accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt.
2086 e 2104 c.c., direttamente o mediante la propria organizzazione
gerarchica. Tuttavia, il controllo delle guardie particolari giurate,
o di un’agenzia investigativa, non puo’ riguardare, in nessun caso,
ne’ l’adempimento, ne’ l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale
del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento
stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attivita’ lavorativa,
che e’ sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti
illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento
dell’obbligazione (nel caso esaminato dalla seconda sentenza sopra
citata, si trattava dell’appropriazione indebita di danaro riscosso
per il datore di lavoro e sottratto alla contabilizzazione).
9.- Quanto all’ambito di applicazione della L. n. 300 del 1970, art.
6, questa Corte ha avuto modo di precisare (cfr. Cass. n. 1461/88)
che l’art. 6 cit. – nel prevedere i casi in cui sono consentite, ai
fini della tutela del patrimonio aziendale, le visite personali di
controllo sul lavoratore – riguarda unicamente le ispezioni
corporali, ma non anche quelle sulle cose del lavoratore, atteso che
la norma citata – da interpretarsi letteralmente – contempla solo la
“visita personale”, che nell’ordinamento processuale sia civile (art.
118 c.p.c.) che penale (artt. 244-246 c.p.p.) e’ tenuta distinta
dall’ispezione di cose e luoghi.
10.- Alla luce dei principi di diritto enunciati, la sentenza
impugnata – che ha affermato la legittimita’ del ricorso
all’attivita’ di investigatori privati qualora il controllo riguardi,
come nella specie, atti illeciti commessi dal dipendente che non
siano riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione
lavorativa, evidenziando anche come la verifica del contenuto
dell’autovettura del lavoratore sia avvenuta fuori dei locali
aziendali, peraltro ad opera dei Carabinieri appositamente accorsi
sul luogo – non merita le censure che le sono state mosse con il
secondo motivo di ricorso.
11- Parimenti infondato e’ il terzo motivo del ricorso principale,
che investe l’accertamento dei fatti addebitati al lavoratore ed il
giudizio di gravita’ e di proporzionalita’ dei fatti medesimi in
rapporto alla sanzione irrogata.
12.- Invero, nei licenziamenti per motivi disciplinari l’accertamento
dei fatti addebitati al lavoratore e il giudizio di gravita’ e di
proporzionalita’ dei fatti medesimi rispetto al licenziamento
disciplinare, sono riservati al giudice di merito e, come tali, non
sono sindacabili in sede di legittimita’ se sorretti da motivazione
congrua e immune da vizi logici (cfr. ex multis Cass. n. 9167/2003).
13.- Sotto altro profilo, questa Corte ha gia’ precisato che ai fini
della legittimita’ del licenziamento disciplinare irrogato per un
fatto astrattamente costituente reato, non rileva la valutazione
penalistica del fatto ne’ la sua punibilita’ in sede penale,
dovendosi effettuare una valutazione autonoma in ordine alla
idoneita’ del fatto ad integrare gli estremi della giusta causa o
giustificato motivo del recesso (Cass. n. 20731/2007, cui adde Cass.
n. 37/2011). Ed ha puntualizzato (Cass. n. 17652/2007) che nel
giudizio relativo alla legittimita’ del licenziamento disciplinare
intimato al lavoratore sulla base di un fatto per il quale sia stata
esercitata l’azione penale, il giudice civile non e’ vincolato dal
giudicato penale ed e’, quindi, abilitato a procedere autonomamente
alla valutazione del materiale probatorio acquisito al processo, nel
caso di mancata partecipazione al giudizio penale del datore di
lavoro, che pure era stato posto in condizione di farlo. Ed infatti
l’art. 654 c.p.p., diversamente dall’art. 652 relativo ai giudizi
civili di risarcimento del danno, esclude che possa avere efficacia
in un successivo giudizio civile la sentenza penale di condanna o di
assoluzione, con riferimento ai soggetti che non abbiano partecipato
al giudizio penale, indipendentemente dalle ragioni di tale mancata
partecipazione.
14.- Alla luce dei principi di diritto enunciati, la sentenza
impugnata – che ha motivatamente accertato la gravita’ dei fatti
addotti a sostegno del licenziamento e la proporzionalita’ della
sanzione rispetto alla gravita’ di tali fatti – non merita le censure
che le sono state mosse con il terzo motivo, ed in particolare sotto
il profilo del vizio di motivazione.
15.- Al riguardo, vale rimarcare che, come questa Corte ha
costantemente ribadito, il controllo sulla motivazione non puo’
risolversi in una duplicazione del giudizio di merito e che alla
cassazione della sentenza impugnata puo’ giungersi non per un
semplice dissenso dalle conclusioni del giudice di merito – poiche’
in questo caso il motivo di ricorso si risolverebbe in
un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del
convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe
all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente
estranea alla natura e alle finalita’ del giudizio di cassazione – ma
solo in caso di motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da
non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico
posto alla base della decisione (cfr. explurimis, Cass. n.
10657/2010, Cass. n. 9908/2010, Cass. n. 27162/2009, Cass. n.
13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n. 18885/2008, Cass. n.
6064/2008). In altri termini, il controllo di logicita’ del giudizio
di fatto – consentito al giudice di legittimita’ (art. 360 c.p.c., n.
5) – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia
dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata
soluzione della questione esaminata; che una revisione siffatta si
risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio
di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto
estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di
legittimita’.
16.- Nella specie, il ricorrente, lungi dal denunciare lacune o
contraddizioni logiche nella motivazione che sorregge l’accertamento
di fatto sul quale e’ fondata la decisione impugnata, prospetta
inammissibilmente una diversa ricostruzione dei medesimi fatti,
proponendone un giudizio valutativo parimenti diverso, sicche’ anche
il terzo motivo di ricorso non puo’ trovare accoglimento.
17.- In conclusione, sia il ricorso principale che quello incidentale
devono essere rigettati. Sussistono giusti motivi, desumibili anche
dalla soccombenza reciproca, per compensare integralmente tra le
parti le spese del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi; compensa tra le
parti le spese del presente giudizio.
Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012