Cassazione: il “tempo tuta” va retribuito
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico – Presidente –
Dott. FOGLIA Raffaele – Consigliere –
Dott. DI NUBILA Vincenzo – rel. Consigliere –
Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 33251-2006 proposto da:
UNILEVER ITALIA S.R.L., (gia’ SAGIT s.r.l., successivamente
incorporata nelle UNILEVER ITALIA S.p.A.), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
TUPINI 133, presso lo studio dell’avvocato XXX,
rappresentata e difesa dagli avvocati XXX, XXXX, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
P.G., N.B., N.M., T.
G., S.A., S.M., S.L.,
T.M., P.G., P.A., N.
G., R.G., S.G.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 7826/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 19/12/2005 r.g.n. 3859/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
15/07/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI NUBILA;
udito l’Avvocato XXX;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Un gruppo di dipendenti della Unilever Italia srl., con separati
ricorsi poi riuniti, convenivano in giudizio la predetta societa’ per
chiedere la corresponsione dell’equivalente di venti minuti di
retribuzione giornaliera per 45 settimane, a fronte del cd. “tempo
tuta”. Esponevano che per entrare nel perimetro aziendale dovevano
transitare per un tornello apribile mediante tesserino magnetico di
riconoscimento, indi percorrere cento metri ed accedere allo
spogliatoio, ivi indossare gli indumenti di lavoro forniti
dall’azienda, effettuare una seconda timbratura del tesserino prima
dell’inizio del lavoro; al termine, dovevano effettuare una terza
timbratura, accedere allo spogliatoio per lasciare gli abiti di
servizio, passare una quarta volta il tesserino al tornello ed
uscire. Deducevano che il tempo occorrente per le suddette operazioni
costituiva una “messa a disposizione” delle proprie energie in favore
del datore di lavoro, onde il tempo stesso doveva essere retribuito.
2. Si costituiva la societa’ ed eccepiva che nel corso delle
operazioni suddette i lavoratori rimanevano comunque liberi di
disporre del proprio tempo e non erano sottoposti al potere
datoriale, mentre soltanto con l’inizio effettivo del turno di lavoro
essi erano sottoposti agli ordini ed alle indicazioni dei superiori
gerarchici.
3. Il Tribunale respingeva la domanda attrice, ritenendo che il tempo
necessario per la vestizione non costituisse tempo di lavoro
retribuito. Proponevano appello gli attori. Si costituiva e si
opponeva la Unilever, la quale dava atto della conciliazione
intervenuta nei confronti di P.P.. La Corte di
Appello di Roma , in parziale riforma della sentenza di primo grado,
accoglieva le domande attrici nella misura – equitativamente
determinata – del 50%. Questa in sintesi la motivazione della
sentenza di appello:
– come risulta dalla sentenza della Corte di Cassazione n.
15734.2003, va considerato tempo di lavoro anche quello in cui il
lavoratore si tiene a disposizione del datore di lavoro;
– quando l’obbligo di vestizione della divisa (Cass. n. 3763.1998)
deve essere eseguito secondo pregnanti disposizioni del datore di
lavoro circa il tempo ed il luogo dell’esecuzione, tale attivita’
risulta “eterodiretta” e quindi da diritto alla retribuzione;
– applicati tali principi, ne risulta che il tempo impiegato nella
vestizione va considerato orario di lavoro;
– cio’ risulta confermato dalla direttiva n. 104.1993 della Comunita’
Europea, recepita nel D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 1, comma 2
(utilizzata come indicazione interpretativa);
– poiche’ non e’ possibile individuare per ciascun attore i tempi
effettivamente impiegati per indossare e dismettere gli abiti da
lavoro, soccorre una valutazione equitativa ex art. 432 c.p.c..
4. Ha proposto ricorso per Cassazione la Unilever Italia srl.,
deducendo cinque motivi. Gli attori sono rimasti intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5. Con il primo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e
falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, del R.D. n.
692 del 1923, artt. 1 e 3 del R.D. n. 1955 del 1923, del D.Lgs. n. 66
del 2003, art. 1, comma 1 del D.P.R. n. 327 del 1980, del D.Lgs. n.
155 del 1997, art. 12 preleggi, artt. 2094 e 2104 c.c., art. 112 e
segg. c.p.c., art. 2997 c.c.: la Corte di Appello ha violato la
normativa inerente all’orario di lavoro ed il criterio dell’onere
della prova, affermando apoditticamente che durante il tempo della
vestizione il lavoratore sarebbe a disposizione del datore di lavoro.
Viceversa detto tempo non richiede applicazione assidua e
continuativa ed e’ equiparabile ad un riposo intermedio ovvero al
tempo necessario per recarsi al lavoro. Il lavoratore non e’ a
disposizione del datore di lavoro e non e’ nell’esercizio delle sue
attivita’. Non vi e’ sinallagma contrattuale, ma solo un’attivita’
preparatoria per la resa della prestazione.
6. Con il secondo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione
e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art.
2099 c.c., art. 36 Cost., omessa motivazione e mancata valutazione
della disciplina di cui ai CCNL di settore 1991, 1995 e 1999, degli
accordi aziendali, delle regole sull’interpretazione dei contratti di
cui all’art. 1362 e segg. c.p.c.. Trascritte le norme contrattuali
sull’orario di lavoro, deduce la ricorrente che la riduzione di
orario pari ad un’ora settimanale ha avuto riguardo al lavoro
effettivo.
7. Con il terzo motivo del ricorso, la ricorrente deduce omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione in fatto circa un punto
decisivo della controversia, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5,
deducendo l’omesso esame degli accordi sindacali e la mancata
applicazione della regola generale dell’assorbimento del trattamento
di miglior favore riferibile anche alle pause contrattuali –
violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3,
dell’art. 1362 segg. c.c.. Ogni dipendente puo’ entrare in fabbrica
fino a 29 minuti prima dell’inizio del turno e quando ha indossato
l’abito da lavoro e’ libero di impiegare il tempo come desidera. Tali
circostanze sono state capitolate come prova. Segue la trascrizione
delle fonti contrattuali e si deduce che l’eventuale credito orario
doveva essere compensato, fino a concorrenza, con le riduzioni di
orario effettivo.
8. I motivi sopra riportati possono essere esaminati congiuntamente,
in quanto tra loro strettamente connessi. Essi risultano infondati
La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, dopo qualche
incertezza, si e’ orientata nel senso che “Ai fini di valutare se il
tempo occorrente per indossare la divisa aziendale debba essere
retribuito o meno, occorre far riferimento alla disciplina
contrattuale specifica: in particolare, ove sia data facolta’ al
lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa
stessa (anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al
lavoro) la relativa attivita’ fa parte degli atti di diligenza
preparatoria allo svolgimento dell’attivita’ lavorativa, e come tale
non deve essere retribuita, mentre se tale operazione e’ diretta dal
datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di
esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad
essa necessario deve essere retribuito”. Cosi’ Cass. n. 15734.2003.
9. Successivamente il principio e’ ripreso da Cass. n. 19273.2006:
“Ai fini di valutare se il tempo occorrente per indossare la divisa
aziendale debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento
alla disciplina contrattuale specifica: in particolare, ove sia data
facolta’ al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare
la divisa stessa (anche presso la propria abitazione, prima di
recarsi al lavoro) la relativa attivita’ fa parte degli atti di
diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attivita’ lavorativa, e
come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione e’
diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo
di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo
ad essa necessario deve essere retribuito. (Nella specie, riguardante
un periodo antecedente alla entrata in vigore del D.Lgs. 8 aprile
2003, n. 66 di recepimento delle direttive comunitarie 93/104 e
200/34, la S.C. ha confermato la sentenza di merito secondo la quale
il tempo della vestizione, facendo corpo con quello concernente la
obbligazione principale ed attenendo un vincolo che caratterizza
inevitabilmente la fase preparatoria, doveva ritenersi gia’
remunerato dalla retribuzione ordinaria, senza necessita’ di
distinguere la retribuzione a seconda dell’esistenza dell’obbligo di
indossare o meno gli indumenti da lavoro)”.
10. Piu’ recentemente il principio e’ confermato da Cass. n.
15492.2009: “L’art. 5 del contratto collettivo nazionale per i
lavoratori delle industrie meccaniche private in data 8 giugno 1999 e
del contratto collettivo nazionale delle aziende meccaniche pubbliche
aderenti all’Intersind, nella parte in cui prevede che “sono
considerate ore di lavoro quelle di effettiva prestazione”, deve
essere interpretato nel senso che siano da ricomprendere nelle ore di
lavoro effettivo, come tali da retribuire, anche le attivita’
preparatorie o successive allo svolgimento dell’attivita’ lavorativa,
purche’ eterodirette dal datore di lavoro, fra le quali deve
ricomprendersi anche il tempo necessario ad indossare la divisa
aziendale, qualora il datore di lavoro ne disciplini il tempo ed il
luogo di esecuzione. Ne’ puo’ ritenersi incompatibile con tale
interpretazione la disposizione contenuta nell’art. 5 citato secondo
la quale le ore di lavoro sono contate con l’orologio dello
stabilimento o reparto, posto che tale clausola non ha una funzione
prescrittiva, ma ha natura meramente ordinatoria e regolativa, ed e’
destinata a cedere a fronte dell’eventuale ricomprensione nell’orario
di lavoro di operazioni preparatorie e/o integrative della
prestazione lavorativa che siano, rispettivamente, anteriori o
posteriori alla timbratura dell’orologio marcatempo”.
11. La giurisprudenza sopra citata conferma che nel rapporto di
lavoro deve distinguersi una fase finale, che soddisfa direttamente
l’interesse del datore di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa
a prestazioni od attivita’ accessorie e strumentali, da eseguire
nell’ambito della disciplina d’impresa (art. 2104 c.c., comma 2) ed
autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale ad esempio
puo’ rifiutare la prestazione finale in difetto di quella
preparatoria. Di conseguenza al tempo impiegato dal lavoratore per
indossare gli abiti da lavoro (tempo estraneo a quello destinato alla
prestazione lavorativa finale) deve corrispondere una retribuzione
aggiuntiva.
12. Con il quarto motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione
e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt.
414, 112 e 115 c.p.c., art. 2797 c.c. e “decadenza”: la Corte di
Appello ha violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e
il pronunciato, perche’ ha accolto una domanda diversa da quella
proposta, vale a dire la corresponsione della retribuzione per tutto
il tempo intermedio tra l’accesso al primo tornello e l’uscita
definitiva dall’azienda.
13. Il quinto motivo del ricorso attiene alla violazione degli artt.
112, 414 e 432 c.p.c., artt. 1226 e 2697 c.c., vale a dire la
quantificazione della domanda sulla base di un arbitrario esercizio
dei poteri equitativi dinanzi ad una carente allegazione dei fatti
contenuta nella domanda.
14. Detti due motivi, da esaminarsi anch’essi congiuntamente, sono
infondati. Il giudice di merito non ha accolto una domanda diversa da
quella formulata, ma ha attribuito un “quid minus” rispetto a quanto
domandato dagli attori, finendo per considerare come tempo di lavoro
o tempo a disposizione, eterodiretto, la meta’ del tempo mediamente
impiegato per passare dal primo al secondo tornello e dal terzo al
quarto. La relativa liquidazione e’ stata operata in via equitativa e
con prudente apprezzamento, stante la difficolta’ di accertare con
precisione il “quantum” della domanda. Il giudice di merito ha fatto
uso discrezionale dei poteri che gli attribuisce la norma
processuale, con apprezzamento in fatto incensurabile in Cassazione,
siccome adeguatamente motivato.
15. Non avendo la controparte svolto attivita’ difensiva, non vi e’
luogo a provvedere sulle spese del grado.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso; nulla per le spese del processo di legittimita’.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 luglio 2010.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2010