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Consiglio di Stato: sull’appalto di servizi e sulla connessa somministrazione di manodopera (di Fulvio Graziotto)

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Consiglio di Stato: sull’appalto di servizi e sulla connessa somministrazione di manodopera (di Fulvio Graziotto)

 Il Consiglio di Stato (sentenza n. 1571 del 2018) ha stabilito che nel contratto di appalto i lavoratori restano nella disponibilità della società appaltatrice, la quale ne cura la direzione ed il controllo; nella somministrazione è invece l’utilizzatore che dispone dei lavoratori, impartendo loro le direttive da eseguire, perché la causa tipica della somministrazione di lavoro è proprio l’integrazione del personale nell’organigramma del committente.

IL CASO

Il caso riguardava un bando pubblicato da una ASL che aveva indetto una procedura aperta, avente ad oggetto l’affidamento di attività di supporto agli uffici della stazione appaltante.

Una società di somministrazione del lavoro impugnava gli atti di gara presso il competente TAR (Tribunale Amministrativo Regionale), sostenendo che «la procedura avviata dalla ASL era stata erroneamente impostata come un “appalto di servizi”, ma che in realtà essa ha ad oggetto una somministrazione di personale – attività, quest’ultima, ex lege riservata alle Agenzie per il Lavoro iscritte nell’apposito Albo presso il Ministero del Lavoro».

Per la società che aveva proposto il ricorso, conseguenza di tale erronea impostazione era che «la partecipazione alla gara è stata consentita a tutte le imprese commerciali, a cui è vietata la somministrazione di personale pena la commissione di un illecito amministrativo (cfr. art. 40 del d.lgs. n. 81 del 2015); mentre è stata preclusa alle Agenzie per il Lavoro – e tra queste alla società appellante – a causa dei particolari requisiti d’accesso richiesti, incentrati sullo svolgimento di servizi analoghi a quelli oggetto di gara».

Il T.A.R. – dopo una verifica in ordine ai tratti distintivi tra l’appalto e la somministrazione di personale – giungeva alla conclusione che la fattispecie in esame era configurabile come un genuino appalto di servizi, e quindi respingeva il ricorso.

La società di somministrazione appellava la decisione del T.A.R., appello ritenuto fondato dal Consiglio di Stato.

La decisione

Anzitutto, il Collegio ricorda che «la natura dell’affidamento in oggetto va indagata in concreto, esaminando gli elementi che caratterizzano il singolo rapporto contrattuale e tenendo presenti i tratti distintivi che connotano in modo tipico il contratto d’appalto e valgono a differenziarlo dalla somministrazione di personale».

Tali elementi «consistono nell’assunzione da parte dell’appaltatore: a) del potere di organizzazione dei mezzi necessari allo svolgimento dell’attività richiesta; b) del potere direttivo sui lavoratori impiegati nella stessa; c) del rischio di impresa».

Poi ricorda che «attraverso il contratto di appalto una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro – secondo lo schema dell’obbligazione di risultato; nel contratto di somministrazione, al contrario, l’agenzia invia in missione dei lavoratori, che svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore – secondo lo schema dell’obbligazione di mezzi», precisando che «ulteriormente consegue che nel contratto di appalto i lavoratori restano nella disponibilità della società appaltatrice, la quale ne cura la direzione ed il controllo; nella somministrazione è invece l’utilizzatore che dispone dei lavoratori, impartendo loro le direttive da eseguire».

Il Consiglio di Stato ricorda poi che anche la «giurisprudenza della Corte di Cassazione è intervenuta a dettagliare in modo ancor più specifico gli indici sintomatici della non genuinità di un affidamento formalmente qualificato come “appalto”, ma in realtà dissimulante una somministrazione di personale, ravvisandoli nei seguenti elementi: a) la richiesta da parte del committente di un certo numero di ore di lavoro; b) l’inserimento stabile del personale dell’appaltatore nel ciclo produttivo del committente; c) l’identità dell’attività svolta dal personale dell’appaltatore rispetto a quella svolta dai dipendenti del committente; d) la proprietà in capo al committente delle attrezzature necessarie per l’espletamento delle attività; e) l’organizzazione da parte del committente dell’attività dei dipendenti dell’appaltatore (Cass. civ., sez. lav., 7 febbraio 2017, n. 3178)».

Dagli atti risulta che «le prestazioni richieste dalla ASL appellata sono identificate non già in “servizi”, bensì in numero di ore di lavoro annue», così come «risulta sufficientemente chiaro che l’appaltatore non svolge alcun servizio “diverso” da una mera attività di ausilio collaborativo al personale dipendente della ASL.».

Per il Collegio, «Ricorre, dunque, la causa “tipica” della somministrazione di lavoro, il cui fine tipico è proprio l’“integrazione” del personale nell’organigramma del committente (cfr. Cass. civ., sez. lav., 27 marzo 2017, n. 7796)».

Ricorda anche che «in ipotesi di affiancamento di personale, ciò che può rilevare come indice sintomatico dell’appalto sono proprio le particolari modalità di coordinamento tra le imprese interessate, laddove concepite per escludere commistioni, interferenze o sovrapposizioni tra le due realtà organizzative; ovvero per rendere del tutto evidente, anche sul piano logistico, la separazione tra le due imprese e tra le rispettive fasi della produzione», e che «secondo costante giurisprudenza – il tratto qualificante della direzione tecnica ed organizzativa della prestazione da parte dell’appaltatore va verificato attraverso un accertamento operato in concreto, con riferimento all’oggetto e al contenuto intrinseco dell’appalto».

E siccome «la giurisprudenza ha chiarito che, laddove si verta in fattispecie di appalto in cui la prestazione richiede esclusivamente l’impiego di manodopera, il criterio dell’effettivo esercizio del potere di organizzazione e di direzione, da parte dell’appaltatore o del committente, assume valore decisivo al fine di valutare la genuinità o meno dell’appalto (Cass. civ., sez. lav., 27 marzo 2017, n. 7796)», «la gara si appalesa illegittima sia nella parte in cui non omette di richiamare, quali requisiti di partecipazione, il possesso dell’Autorizzazione Ministeriale e la conseguente iscrizione all’Albo – tutte norme di garanzia applicabili esclusivamente alla “somministrazione di lavoro” e non invece ai contratti d’appalto di servizi – ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 276 del 2003, dell’art. 30 del d.lgs. n. 81 del 2015 e dell’art. 83, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016; sia nella parte in cui prevede requisiti di ammissione inerenti lo svolgimento di servizi analoghi a quelli oggetto di gara (cfr. disciplinare pag. 2) – essendo questi propri delle imprese che svolgono appalti di servizi ma non anche delle agenzie di lavoro che, come la società appellante, operino esclusivamente nel campo della somministrazione di personale».

Per il Supremo Collegio, «l’appello è fondato e determina, in riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento del ricorso di primo grado e il conseguente annullamento degli atti con esso gravati.»

Osservazioni.

Il Collegio ha ricordato che «la natura dell’affidamento in oggetto va indagata in concreto, esaminando gli elementi che caratterizzano il singolo rapporto contrattuale e tenendo presenti i tratti distintivi che connotano in modo tipico il contratto d’appalto e valgono a differenziarlo dalla somministrazione di personale».

Tali elementi «consistono nell’assunzione da parte dell’appaltatore: a) del potere di organizzazione dei mezzi necessari allo svolgimento dell’attività richiesta; b) del potere direttivo sui lavoratori impiegati nella stessa; c) del rischio di impresa».

In ipotesi di affiancamento di personale, ciò che può rilevare come indice sintomatico dell’appalto sono proprio le particolari modalità di coordinamento tra le imprese interessate.

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