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Tra pubblico e privato: la regolamentazione del rapporto di lavoro nel settore convenzionato con il ssn

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Tra pubblico e privato: la regolamentazione del rapporto di lavoro nel settore convenzionato con il ssn

Il lavoro svolto in regime di convenzionamento con il SSN dai medici, dagli specialisti ambulatoriali interni, dai veterinari e dalle altre professionalità (biologi, psicologi e chimici) rappresenta un ibrido unico nel suo genere nel panorama della disciplina lavoristica e sindacale italiana.

Proprio per sottolineare tale carattere innovativo, nel battesimo di questa utile iniziativa editoriale, ritengo opportuno sottoporre ai lettori di LavoroeDiritto.it, alcune brevi riflessioni sul settore in questione.
Si tratta, essenzialmente, di un ambito afferente rapporti di lavoro autonomo per l’esercizio delle attività professionali che presentano vari punti di marcata connessione con la dipendenza del settore pubblico contrattualizzato, ma dalla quale si discostano, in particolare, per l’evidente assenza del vincolo della subordinazione.
La carenza di questo elemento genetico, indispensabile nella configurazione del comune rapporto di dipendenza con la P.A., lungi dall’essere un mero aspetto formale, rappresenta una connotazione tipica che riverbera i suoi effetti diretti sulla regolamentazione del regime in analisi.
Prima di evidenziare le differenze è il caso di porre attenzione al comune contesto genetico in cui si sviluppano le due discipline negoziali, quella delle aree e dei comparti pubblici contrattualizzati e quella dei settori convenzionati in parola.
Con il nuovo assetto costituzionale derivante dalla revisione del Titolo V della Costituzione, avvenuta con legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3, al livello della contrattazione nazionale spetta definire le garanzie per i cittadini e per gli operatori, ed alle Regioni spetta la definizione degli istituti contrattuali e le funzioni di indirizzo e coordinamento a livello aziendale.
L’inversione della potestà normativa primaria ha imposto la sostituzione delle Regioni allo Stato quale soggetto deputato alla definizione degli istituti contrattuali e la conseguente necessità di provvedere, specie in ambito sanitario dove è più forte l’esigenza di garantire un uniforme livello assistenziale, alla definizione di una regolamentazione dei rapporti di lavoro non etero imposta legislativamente ma autonomamente condivisa.
Già il processo di contrattualizzazione del lavoro svolto alle dipendenze della pubblica amministrazione, iniziato con la delega conferita al Governo dalla legge 23 ottobre 1992, n. 421 e stabilizzatosi definitivamente con l’entrata in vigore del d.lgs 30 marzo 2001, n. 165, aveva segnato la strada verso un processo di regolamentazione pattizia affidata ad un apposito organismo tecnico, dotato di personalità giuridica, con poteri di rappresentanza negoziale della parte pubblica (ARAN).
Seguendo tale percorso istituzionale, anche il personale sanitario a rapporto convenzionale, ha subito una revisione della disciplina negoziale; così, dal contratto formalizzato con Decreto del Presidente della Repubblica, a partire dalla tornata contrattuale dell’anno 2005 si è applicato un Accordo Collettivo Nazionale (ACN) recepito in un’intesa Stato-Regioni.
Il compito tecnico di rappresentanza negoziale della parte pubblica è stato affidato alla Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati (SISAC), istituita con l’art. 52, comma 27, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 ed il procedimento di contrattazione collettiva è stato conformato a quello dell’ARAN mediante un rinvio recettizio alla disciplina normativa del già citato d. lgs. 165/2001.
RAPPRESENTATIVITA’ E TUTELA GIURISDIZIONALE
Di rilevante importanza nell’introduzione del nuovo modello contrattuale è stata l’attuazione della previsione dell’art. 39, comma 4 della Costituzione che dispone la misurazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali che partecipano alla stipula degli Accordi Collettivi Nazionali e dei susseguenti livelli di contrattazione integrativa Regionale ed Aziendale.
La rappresentatività è desunta, a norma di legge (Art. 43, d.lgs 30 marzo 2001, n. 165) e delle clausole negoziali, da criteri obiettivi e misurabili che attengono alla capacità dell’organizzazione sindacale di essere titolare di un interesse sufficientemente diffuso da renderlo meritevole di diritti e prerogative ulteriori rispetto a quelli attribuiti a tutte le organizzazioni sindacali (tra questi la legittimazione alla contrattazione collettiva e l’attribuzione dei diritti sindacali, permessi, distacchi ecc.).
Tanto la giurisprudenza Costituzionale che quella di legittimità e di merito hanno avuto modo di vagliare in più occasioni il concetto di rappresentatività sindacale e, nonostante la recente istituzione, lo hanno fatto anche in riferimento alla SISAC.
Alla ribadita coerenza e costituzionalità del principio si è affiancato un consolidato giurisprudenziale ultra decennale che ne sancisce ormai i caratteri pratici di estrinsecazione e tra i quali è opportuno ricordare la stretta connessione alla sottoscrizione di un accordo collettivo (cfr. Corte Cost. 4 dicembre 1995, n. 492, Corte Cost. 12 luglio 1996, n. 244, Cassazione Sez. Civ. 26 febbraio 2002, n. 2855). Perché il sindacato possa essere rappresentativo dunque, occorre che lo stesso sia titolare di una consistenza associativa sufficiente (5%) e che sottoscriva un contratto collettivo con carattere normativo che regoli in modo organico un rapporto di lavoro.
Certo è che la SISAC si è dovuta dotare di un efficace strumento tecnico di misurazione della rappresentatività nazionale che consente di formalizzare annualmente una certificazione dei soggetti sindacali e del relativo peso negoziale.
Si tratta indubbiamente del primo dispositivo informatico adottato su scala nazionale per riscontrare la verifica della rappresentatività sindacale annuale ed è certamente un sistema esportabile in altri ambiti per garantire l’applicabilità del dettato Costituzionale.
Anche il transito in capo al giudice ordinario della giurisdizione esclusiva in materia di controversie inerenti il rapporto di lavoro è desumibile dall’analogo trasferimento di competenze intervenute nel settore pubblico contrattualizzato.
Di recente con sentenza n. 10528/07 del 16 febbraio 2008 il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha ribadito il precedente orientamento circa il proprio difetto di giurisdizione in merito ai ricorsi proposti da singoli medici per ottenere l’annullamento dell’Accordo Collettivo Nazionale sottoscritto dalla SISAC e dalle organizzazioni sindacali rappresentative del settore o di alcune clausole di esso.
Costante giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (cfr  ex plurimis  Sez. Unite 24 febbraio 1997 n. 1398 e Sez. Unite. 22 luglio 1998 n. 7179 confermative della sentenza 17 marzo 1989, n. 1354) ha, tra l’altro, attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario la tutela degli interessi propri ed esclusivi delle organizzazioni sindacali, anche quando tali interessi si concretizzino nell’ambito dell’impiego pubblico e, aggiungeremmo, in quello del personale convenzionato con i Servizio Sanitario Nazionale.
Anche questo orientamento, confermato dal vigente testo dell’art. 63 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (che ha anche avuto conferma di legittimità costituzionale con ordinanza Corte Cost. 143 del 9-24 aprile 2003 e ordinanza Corte Cost. 279 del 13-27 luglio 2004 e riconoscimento giurisdizionale da parte del Consiglio di Stato con sentenza Sez. IV, 8 giugno 2007, n. 3044), ha infatti ottenuto ratifica giurisprudenziale, con sentenza Sez. IV, 24 gennaio 2006, n. 2155, in specifico riferimento agli accordi sottoscritti dalla SISAC.
PROCEDURE NEGOZIALI
Il rinvio esplicito al procedimento negoziale già previsto dal d.lgs 165/2001 in riferimento ai vari livelli di contrattazione del pubblico impiego, conferma la volontà di uniformità normativa del Legislatore che si è limitato a definire il quadro di garanzia generale in ottemperanza al disposto Costituzionale.
La procedura, rivista di recente con la legge 133/2008 in ordine alla tempistica ed ai poteri, sancisce per entrambi gli ambiti di applicazione, una serie di obblighi formali miranti alla esclusiva valutazione di conformità rispetto ai vincoli finanziari da parte dei soggetti preposti alla vigilanza: Governo, Corte dei Conti, Comitato di Settore.
L’istituto della delegazione della rappresentanza negoziale infatti, ha il compito di consentire una “sterilizzazione” delle interferenze connesse alle contingenze politiche, con l’obiettivo di agevolare la definizione di una regolamentazione del rapporto di lavoro ad emulazione di quella del settore privato (“…le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti la gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro” art. 5, comma 2, d.lgs 165/2001) ed in cui prevalgono intese che contemperano e tutelano i contrapposti interessi in gioco: quelli dei lavoratori, certo, ma anche quelli dell’Amministrazione Pubblica coinvolta.
Sarebbe oltremodo facile per chi scrive evidenziare i vantaggi dimostrati e quelli intrinseci di questo modello, che d’altro canto non ha ancora integralmente ottenuto il giusto riscontro di efficacia a causa di varie criticità ancora riscontrabili, ma ci si astiene da ogni valutazione in merito che apparirebbe quantomeno priva di obiettività.
Conta qui invece riferire circa le dinamiche operative che tale modello prevede e che, ancora oggi, non nutrono di ampia diffusione nella dottrina sindacale e del lavoro.
La procedura negoziale inizia con l’emanazione di un atto di indirizzo da parte del Comitato di Settore, organo appunto preposto a definire le linee e gli obiettivi che il futuro accordo collettivo nazionale dovrà contenere.
L’atto di indirizzo include anche la specificazione delle risorse finanziarie disponibili, derivanti dagli accantonamenti previsti per legge (rappresenta infatti un obbligo “…la costituzione di accantonamenti nel proprio bilancio delle somme necessarie alla copertura degli oneri derivanti dal rinnovo dei contratti collettivi nazionali per il personale dipendente del Servizio sanitario nazionale (SSN) e degli accordi collettivi nazionali per il personale convenzionato con il SSN…quantificati sulla base dei parametri previsti dai documenti di finanza pubblica” art. 9 D.L. 30 settembre 2005, n. 203 convertito con modificazioni dalla Legge 2 dicembre 2005, n. 248) e pari al tasso di inflazione programmata o da ulteriori integrazioni appositamente finanziate dallo Stato.
Proprio nel finanziamento si esprime la prima sostanziale differenza del settore convenzionato rispetto a quello della dipendenza pubblica.
Per i rinnovi contrattuali l’ARAN dispone di adeguati finanziamenti contenuti nelle leggi finanziarie od in norme ad esse correlate ed in genere tali stanziamenti non rientrano anche nelle disponibilità della SISAC.
Tuttavia la prassi consolidata e giustificata dalla necessità di garantire un analogo trattamento economico a tutte le tipologie in rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione, prevede che su richiesta del Comitato di Settore il Governo attivi, anche per i convenzionati, la disponibilità di equivalenti risorse aggiuntive.
E’ quanto accaduto di recente con l’art. 79, comma 2 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 convertito con modificazioni legge 6 agosto 2008, n. 133, allorquando la Stato ha stanziato risorse sufficienti a garantire la copertura dell’onere aggiuntivo rispetto al tasso di inflazione programmato nel biennio 2006-2007, in modo da consentire il riconoscimento del medesimo incremento percentuale fissato in favore dei dipendenti della P.A. (4,85%).
Lo stesso D.L. 112/2008 (Art. 67, comma 7) ha provveduto a riformare il procedimento di contrattazione collettiva regolato dall’art. 47 del d.lgs 165/2001.
Oltre a scadenzare in modo più perentorio la procedura, in particolare per rendere maggiore certezza ai tempi di conclusione della stessa, il Legislatore ha voluto rafforzare i poteri di vigilanza e controllo sulla contrattazione sancendo un vincolo alla certificazione positiva, esplicita o tacita per decorso del termine disposto, da parte della Corte dei Conti.
Allo stato pertanto “in caso di certificazione non positiva della Corte dei Conti le parti contraenti non possono procedere alla sottoscrizione definitiva dell’ipotesi di accordo. Il Presidente dell’Aran (n.d.r. leggasi la SISAC), sentito il Comitato di settore ed il Presidente del Consiglio dei Ministri, provvede alla riapertura delle trattative ed alla sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo adeguando i costi contrattuali ai fini delle certificazioni. In seguito alla sottoscrizione della nuova ipotesi si riapre la procedura di certificazione prevista dai commi precedenti. Nel caso in cui la certificazione non positiva sia limitata a singole clausole contrattuali l’ipotesi può essere sottoscritta definitivamente ferma restando l’inefficacia delle clausole contrattuali non positivamente certificate” (Art.  47, comma 6,  d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165).
Infatti, nonostante l’assenza di un esplicito richiamo alla nuova formulazione di legge, è da ritenersi assolutamente assorbente, ai fini dell’applicabilità della stessa, il rinvio “mobile” ad essa contenuto nella citata norma istitutiva della SISAC.
IL RAPPORTO FRA LEGGI ED ACCORDI, I LIVELLI NEGOZIALI
Esperite le procedure previste, l’accordo sottoscritto tra SISAC ed organizzazioni sindacali rappresentative, viene recepito in un’Intesa in sede di Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano.
L’Accordo Collettivo Nazionale diventa quindi, ai sensi dell’art. 2 nonies del D.L. 29 marzo 2004, n. 81 come integrato con la Legge di conversione n. 138 del 26 maggio 2004, esecutivo con validità erga omnes sull’intero territorio nazionale.
E’ proprio nella applicazione concreta che si evidenziano le principali differenze rispetto ai lavoratori del pubblico impiego; è infatti in essa che si rimarcano, in carenza del vincolo della subordinazione, le difficoltà applicative delle norme che regolamentano i maggiori istituti normativi del rapporto di lavoro dipendente (orario di lavoro, ferie, permessi, trattamento economico, contribuzione e trattamento previdenziale, ecc.).
Fatte salve le disposizioni che prevedono un’esplicita applicabilità al settore in parola, cosa che raramente si riscontra, ovvero i rinvii contenuti negli accordi, nei confronti dei medici ed ai professionisti convenzionati trovano dunque applicazione le sole clausole negoziali.
Ciò è dovuto all’impossibilità di estendere per mero sillogismo interpretativo la regolamentazione normativa della dipendenza all’autonomia funzionale ed organizzativa dei convenzionati.
Quindi è in modo preponderante nella successione degli accordi negoziali e nell’evoluzione di questi ultimi che si rinviene il corpus prescrittivo del settore: il convenzionato dovrà svolgere le proprie funzioni ed i propri compiti in ottemperanza alle clausole contrattuali.
È ovvio che questo generi la necessità di disporre di articolati contrattuali molto dettagliati e privi del carattere di astrattezza normativa che renderebbe maggiormente conformabile la disciplina negoziale alle innovazioni legislative nel frattempo intervenute.
A ben guardare, però, questa apparente criticità si trasforma in forza precettiva generale dell’accordo che raggiunge proprio l’obiettivo prefissato all’avvio della fase di contrattualizzazione, quello di delegificare integralmente o quasi la disciplina inerente i rapporti di lavoro.
Soprattutto questo ultimo carattere peculiare trova un valido sostegno nella delega negoziale ai successivi livelli contrattuali, quello Regionale e quello Aziendale, in cui si sostanziano evidenti adattamenti locali alla disciplina nazionale.
In questo contesto  il modello negoziale istituito prefigura anche quelle ipotesi di flessibilità operativa che lo rendono tollerabile a fronte della rinuncia alla potestà normativa primaria.
Di certo gli accordi del settore in rapporto di convenzionamento con il Servizio Sanitario Nazionale evidenziano tutte queste caratteristiche peculiari, cui non fanno eccezione i vari limiti critici finora rilevati.
Fra gli altri è di certo da segnalare la limitata potenzialità coercitiva delle clausole di garanzia che presiedono alla messa in mora delle controparti negoziali locali inottemperanti nella definizione degli accordi decentrati.
Nonostante i vigenti testi del 2005 abbiano evidenziato un notevole miglioramento rispetto alle precedenti intese sindacali recepite con Decreto del Presidente della Repubblica, non tutti gli accordi regionali risultano siglati dopo quattro anni dalla firma degli Accordi Collettivi Nazionali.
Anche la caratteristica intrinseca della contrattazione nazionale di garantire il controllo generale sulla spesa è eccessivamente mitigata dalla sovraesposizione finanziaria della contrattazione decentrata, sia perché il rinnovo nazionale non include l’onere complessivo regionale, limitandosi alla stima degli impegni finanziari derivanti dall’ACN, sia perché spesso, paradossalmente, la negoziazione locale esula deliberatamente dai limiti imposti.
In questo quadro istituzionale il bilancio complessivo sul modello adottato risulta essere abbastanza positivo con sensibili margini di miglioramento ottenibili qualora, cogliendo l’occasione della riforma complessiva del sistema contrattuale, si potenziassero ed adeguassero i meccanismi negoziali esistenti.

Roma, 16 marzo 2009 nov 18, 2009
Dott. Michele De Giacomo
(Responsabile Segreteria Tecnica SISAC)
www.sisac.info

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