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Retribuzione minima e salario minimo legale (di Roberta Bortone)

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Retribuzione minima e salario minimo legale (di Roberta Bortone)

In questi giorni la politica discute della possibile introduzione di un salario minimo legale, cioè della definizione per legge di una retribuzione oraria minima per qualsiasi lavoratore dipendente.
Al di là della mancata chiarezza sui contenuti specifici dell’intervento legislativo proposto, mi sembra indispensabile chiarire che in Italia l’obbligo di corrispondere una retribuzione minima esiste già, anche senza una legge apposita, grazie alla costante e univoca interpretazione di una norma costituzionale da parte dei giudici.
Cerchiamo di comprendere meccanismo ed effetti del sistema.
L’art. 36 della Costituzione prevede che il lavoratore abbia diritto ad una retribuzione “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Fin dai primi anni dall’entrata in vigore della Costituzione, i giudici hanno ritenuto che per essere considerata “sufficiente” la retribuzione corrisposta debba essere almeno pari a quella prevista, in relazione alle mansioni svolte dal lavoratore, dal contratto collettivo nazionale del settore cui appartiene il datore di lavoro (ad es. metalmeccanico, chimico, commercio, etc.).
Cosicché, di fatto, la misura della retribuzione minima esiste già ed è fissata per via contrattuale, senza le inevitabili rigidità della legge.
C’è da dire che oggi il problema nasce piuttosto dall’esistenza, in alcuni casi, di contratti collettivi definiti “pirata”, che si aggiungono a quelli sottoscritti dai sindacati confederali. Si tratta di contratti collettivi firmati da organizzazioni sindacali e imprenditoriali di comodo, nate solo con lo scopo fraudolento di fissare salari più bassi di quelli previsti dalla contrattazione genuina.
Con la sovrapposizione di due contratti ad uno stesso settore produttivo (tipico l’esempio delle cooperative) sorge il problema di quale applicare per definire la retribuzione minima e perciò diventa evidente la mancanza di una legge sulla rappresentanza sindacale, che invece esiste per i rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche: la legge potrebbe e dovrebbe intervenire per stabilire le caratteristiche della rappresentatività richieste ai sindacati per ottenere l’efficacia generale delle clausole retributive.
In sostanza per definire la retribuzione minima sarebbe sufficiente continuare ad applicare l’art. 36 della Costituzione, intervenendo solo per stabilire le caratteristiche della rappresentatività richieste ai sindacati per ottenere l’efficacia generale delle clausole retributive.
Invece pare che si vogliano fare esplodere gli equilibri economici fissando addirittura retribuzioni più alte di quelle contrattate tra aziende e sindacati secondo la fisiologia delle relazioni industriali.

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