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Sul lavoro autonomo nell’ambito dell’Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM)

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Sul lavoro autonomo nell’ambito dell’Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM)

Si è assistito, da qualche mese a questa parte, ad un acceso “dibattito” sulle modalità di conferimento degli incarichi di docenza nell’ambito dell’Alta Formazione Artistica e Musicale.

Le posizioni finora espresse tuttavia non convincono affatto. Vediamo il perché.

Innanzi tutto è doveroso fare una premessa, scontata per i giuristi (ma non necessariamente tale per i diretti interessati): come chiarito dalla Corte Costituzionale (Sentenze n. 121 del 29 marzo 1993 e n. 115 del 31 marzo 1994), qualsivoglia attività umana può essere svolta in regime di c.d. subordinazione (lavoro subordinato) ovvero in forma c.d. autonoma (lavoro autonomo).

Nel nostro ambito di riferimento, e limitandoci all’attività di docenza, per i posti in organico vacanti e disponibili, le Istituzioni AFAM reclutano con contratto di lavoro subordinato, o a tempo indeterminato (c.d. immissione in ruolo) o a tempo determinato.

Per quanto attiene invece le discipline per cui non è previsto un posto in organico, viene utilizzata la modalità del lavoro autonomo.

Fino allo scorso anno accademico, molte Istituzioni hanno utilizzato contratti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) che, è bene tenerlo presente, rientrano comunque nel genus del lavoro autonomo. Altre hanno utilizzato contratti di prestazione d’opera ex art. 2222 cod. civ..

Ed infatti, con la Legge di bilancio per il 2019, è stata, in via straordinaria, autorizzata l’attivazione di contratti di co.co.co. fino all’1 luglio 2019 in deroga rispetto a quanto previsto dall’art. 5, comma 5bis, del D.lgs. n. 165/2001 secondo cui «è fatto divieto alle amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro».

Ne è conseguito che, con l’inizio dell’attuale anno accademico (2019/20) non è stato più possibile, per le Istituzioni AFAM, ricorrere ai predetti co.co.co..

E fin qui, tutto normale: volontà del legislatore, condivisibile o meno, ma pienamente legittima.

Ciò che è accaduto dopo, spiace dirlo, ha veramente dell’assurdo…anzi, a ben guardare, appare grottesco.

Abbiamo assistito ad improbabili interpretazioni giuridiche formulate da soggetti non adeguatamente qualificati quand’anche assolutamente non dotati dei necessari strumenti euristici, ovvero da soggetti che hanno adottato una condotta strumentale al perseguimento dei propri interessi di bottega.

Risultato: diffide di un sindacato, quello che da sempre vuole male all’AFAM e vorrebbe cancellarla dalla “geografia” dell’istruzione post-secondaria italiana (la FLC-CGIL); “blocco” dei contratti operato da Direttori pavidi e, nessuno si senta offeso (direbbe De Gregori), sprovvisti degli strumenti di cui sopra che, in alcuni casi, si sono spinti finanche a pretendere dal docente individuato l’apertura della partita iva ai fini della stipula del contratto di prestazione d’opera; giuste proteste della categoria studentesca: il tutto “condito” dalla consueta copertura mediatica operata da giornalisti che anziché informare, disinformano.

Le ultime: parrebbe che, nel testo della Legge di bilancio per il 2020, sarà inserita una nuova deroga che consentirà alle Istituzioni AFAM di utilizzare i contratti di co.co.co. per ulteriori 3 anni accademici.

In verità, tutte queste preoccupazioni non hanno ragion d’essere e le considerazioni giuridiche avanzate (spesso da “non-giuristi”) sono completamente prive di pregio.

A prescindere dai contratti di co.co.co. (vedremo se sarà introdotta una nuova deroga e per quanto tempo), ciò che non risponde assolutamente al vero è che, per stipulare un contratto d’opera, l’Amministrazione committente debba/possa pretendere l’apertura della partita iva da parte del prestatore laddove questo non eserciti una professione per cui sia stato istituito un albo (cfr. art. 2229 cod. civ.) in cui lo stesso è inserito. Ne deriva che, se il soggetto incaricando è, ad esempio, un avvocato (ma lo stesso vale per un architetto, un geometra o un dottore commercialista) questi deve necessariamente essere titolare di partita iva e deve emettere fattura per la prestazione professionale (l’Istituzione dovrà corrispondere l’IVA all’erario nella misura del 22% e il contributo alla Cassa professionale nella misura del 4% ed applicare, quale sostituto d’imposta, la ritenuta d’acconto nella misura del 20%). Laddove il soggetto incaricando svolga un’attività per la quale non è istituito un albo (ad esempio un pittore o un violinista), questi non ha obbligo di essere titolare della partita iva e l’Amministrazione non può pretenderne l’apertura nè rifiutarsi di contrarre ove egli sia l’avente diritto. Molto semplicemente, il prestatore d’opera emetterà una nota indicando l’importo dovuto (e pattuito) per la prestazione che, anche in questo caso, sarà soggetta all’applicazione della ritenuta d’acconto nella misura del 20%.

Più semplice di così…. 

Avv. Giuseppe Leotta

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