Cassazione: in appello è legittimo quantificare i crediti vantati diversamente rispetto a quanto fatto in primo grado (di Fulvio Graziotto)
La Corte di Cassazione (sentenza n. 834 del 2019) ha stabilito che la diversa quantificazione o la specificazione della pretesa, se ne restano fermi i fatti costitutivi, non comporta la prospettazione di una nuova “causa petendi” rispetto a quella dedotta in primo grado, che in quanto tale sarebbe inammissibile in appello ai sensi dell’art. 345 c.p.c.
Il caso riguardava un lavoratore assunto nell’ambito di un appalto, e in primo grado era stata chiesta genericamente la condanna in solido delle due società subappaltatrici per le quali il lavoratore prestava il proprio impegno lavorativo.
In grado di appello, venivano diversamente quantificati i crediti vantati nei confronti di ciascuna società e prospettata una differente ripartizione delle prestazioni lavorative nell’ambito dell’appalto.
Nell’enunciare il principio esposto, la Corte di cassazione ha cassato con rinvio la sentenza d’appello con la quale si era ritenuta inammissibile la richiesta del ricorrente, qualificata come domanda nuova implicante «mutatio libelli».
Il lavoratore appellante aveva domandato di essere tenuto indenne dai danni eventualmente subiti in dipendenza dell’accoglimento della domanda di riscatto attraverso la mera indicazione e specificazione dei danni conseguenti, che, invece, andava qualificata come una «emendatio libelli» rispetto alla medesima «causa petendi», già ritualmente dedotta.