Il licenziamento per scarso rendimento va parametrato alla media di attività tra i vari dipendenti (di F. Graziotto)
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26676 del 2017, ha stabilito che lo scarso rendimento posto a base del licenziamento debba essere imputabile al lavoratore, provato dal datore di lavoro con riferimento alla media del rendimento dei dipendenti e connotato da enorme sproporzione e negligenza del lavoratore.
IL CASO.
Il dipendente di una società concessionaria di autoveicoli, al quale era stato assegnato il ruolo di responsabile commerciale per il segmento delle flotte aziendali, veniva licenziato per scarso rendimento, fondato sulle vendite ritenute largamente inferiori alle stime e alle capacità aziendali.
Il lavoratore era già stato reintegrato all’esito di precedente grado di giudizio ed il licenziamento era stato giudicato illegittimo anche dalla Corte di Appello che aveva rigettato l’impugnazione della società, la quale è ricorsa invano in Cassazione.
LA DECISIONE.
Dopo aver sintetizzato i fatti di causa, la Corte ricorda che «la Corte territoriale richiamava quindi anche precedenti di questa Corte, secondo cui al fine di poter considerare legittimo il licenziamento comminato per scarso rendimento parte datoriale è tenuta a provare rigorosamente il comportamento negligente del prestatore, in quanto elemento costitutivo del recesso per giustificato motivo soggettivo, e che l’inadeguatezza del risultato non sia ascrivibile all’organizzazione del lavoro da parte dell’imprenditore ed a fattori socio-ambientali».
La Cassazione rileva altresì che «da tutta la corrispondenza intercorsa con la dirigenza, e segnatamente dai report pretesi con cadenza settimanale, emergeva che il P. non era mai stato inattivo, dedicandosi in maniera prevalente ad un compito che, così come voluto da parte datoriale, non era stato mai praticato. Per queste ed ulteriori, specifiche e dettagliate, valutazioni di merito, dunque, la Corte distrettuale, riteneva , pure a voler leggere la vicenda secondo le indicazioni fornite nell’atto di gravame, di dover comunque pervenire al medesimo convincimento espresso dal giudice di primo grado, di guisa che tutte le contestazioni risultavano infondate, donde l’illegittimità delle applicate sanzioni conservative ed espulsiva».
Preso atto delle “motivate e ragionevoli” considerazioni dei giudici del merito, la Suprema Corte dà merito alle stesse di essersi correttamente attenute ai principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità, tra cui Cassazione Lavoro n. 1632/2009, secondo la quale «pure è legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento soltanto qualora sia risultato provato, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile – in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione. Conformi Cass. lav. n. 18678 del 04/09/2014 e. n. 3876 del 22/02/2006 – giurisprudenza tutta condivisa anche dalla più recente pronuncia di questa Corte, n. 18317 del 9 giugno / 19 settembre 2016».
La Cassazione richiama inoltre Cass. lav. n. 401 del 17/01/1981, secondo cui «qualora in taluni rapporti di lavoro subordinato assuma rilievo anche il risultato della prestazione, come il conseguimento di un determinato livello quantitativo minimo di affari, vendite eccetera, entro prefissati periodi di tempo, con la correlativa previsione da parte del contratto collettivo o individuale, del mancato risultato periodicamente richiesto quali ipotesi di grave inadempimento che legittima la risoluzione motivata del rapporto per scarso rendimento, il datore di lavoro -che intenda far valere tale scarso rendimento come notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro- non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l’oggettiva sua esigibilità, avuto riguardo alla normale capacita ed operosità della maggioranza dei lavoratori di pari qualificazione professionale ed addetti alle medesime mansioni, ma deve altresì provare che la causa dello scarso rendimento deriva da negligenza nell’espletamento della prestazione lavorativa. Pertanto, in mancanza di prova di un difetto di attività da parte del lavoratore, il solo dato del mancato raggiungimento degli obiettivi programmati dal datore di lavoro non legittima la risoluzione del rapporto per scarso rendimento. In senso conforme, Cass. lav. n. 6405 del 25/11/1982)».
La Corte rigetta quindi il ricorso.
OSSERVAZIONI.
La Suprema Corte, richiamandosi a precedenti decisioni, ha ribadito che per poter considerare legittimo il licenziamento comminato per scarso rendimento, il datore di lavoro deve provare rigorosamente il comportamento negligente imputabile al lavoratore, e che la sproporzione nel rendimento non è ascrivibile all’organizzazione del lavoro da parte dell’impresa.