Adozione delle misure di sicurezza e di informazione: onere della prova (di F. Graziotto)
La Corte di Cassazione (sentenza n. 798 del 2017) ha stabilito un importante principio in tema di sicurezza sul lavoro e di responsabilità in caso di infortunio: la responsabilità esclusiva dell’infortunio ricade sul lavoratore solo nell’ipotesi di un suo comportamento abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute.
Il caso.
Un lavoratore subiva un infortunio per un’erronea manovra del carroponte senza prima togliere le catene del gancio del carroponte stesso per poi eseguire le richieste manovre di spostamento
Il lavoratore chiedeva di insinuare al passivo del fallimento della società committente del suo datore di lavoro, una società croata, ma il giudice delegato respingeva la domanda; proponeva quindi opposizione ex art. 98 legge fallimentare, ma anche il Tribunale la rigettava.
Viene quindi proposto ricorso per la cassazione del decreto fondato su cinque motivi, dei quali due vengono ritenuti fondati.
La decisione.
Per la Suprema Corte, il secondo e il quinto motivo di ricorso sono fondati.
Infatti, il Collegio ricorda che «Ai sensi tanto dell’art. 2087 c.c. quanto dell’art. 7 d.lgs. n. 626/94 (applicabile ratione temporis all’infortunio in esame, occorso il 22.6.07), che disciplina l’affidamento di lavori in appalto all’interno dell’azienda, il committente nella cui disponibilità permanga l’ambiente di lavoro è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell’impresa appaltatrice, misure che consistono nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio, nel predisporre tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza degli impianti e nel cooperare con l’appaltatrice nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata, tanto più se caratterizzata dall’uso di macchinari pericolosi (cfr., ex alias, Cass. n. 21694/11; Cass. n. 19494/09).
In particolare, la Cassazione, nel richiamarsi a precedenti decisioni, precisa che «la responsabilità dell’infortunato sorge esclusivamente in presenza di condotte del tutto anomale, inopinabili e imprevedibili, che esulano dai sistemi e dai procedimenti di lavoro e sono con essi incompatibili, oppure qualora vi sia stata una violazione, da parte del prestatore di lavoro, di precise disposizioni antinfortunistiche o di specifici ordini (il che il decreto impugnato non ha accertato in alcun modo). Diversamente, la condotta colposa del lavoratore è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell’entità del risarcimento (cfr. Cass. 18.2.2004 n. 3213 Cass. 8.4.2002 n. 5024; Cass. 17.2.1998, n. 1687; Cass. 7.4.1992, n. 4227; Cass. 8.2.1993, n. 1523; Cass. 6.7.1990, n. 7101), atteso che la ratio di ogni normativa antinfortunistica è proprio quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela».
Poi la Corte precisa i contorni del cd. “rischio elettivo”, escluso nel caso di specie «non essendo né imprevedibili né anomale le eventuali imprudenze, negligenze o imperizie dei prestatori di lavoro nell’espletare le mansioni loro assegnate, esse non sono idonee ad escludere il nesso causale rispetto alla condotta colposa del committente che non abbia provveduto ad adottare tutte le misure di prevenzione rese necessarie dalle concrete condizioni di svolgimento del lavoro. Ne consegue l’esclusione, in tale ipotesi, del c.d. rischio elettivo, idoneo ad interrompere il nesso causale solo quando l’attività non sia in alcun rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante da esso. Nella vicenda in oggetto lo stesso decreto impugnato riferisce che l’infortunio si è verificato per un’erronea manovra del carroponte da parte dell’odierno ricorrente, che avrebbe dovuto prima togliere le catene del gancio del carroponte e, poi, eseguire le richieste manovre di spostamento del carroponte medesimo, ovvero usarne il gancio in un’area sicura e, ancora, fissare od ancorare il pesante grigliato metallico che stava sollevando. Tale uso del carroponte, per quanto avvenuto in modo imperito od imprudente nei tempi delle relative manovre, nondimeno non è stato affatto anomalo, rientrando anzi nell’ordinario procedimento lavorativo, che – appunto – lo prevedeva (sempre secondo quel che si legge nel decreto impugnato) per trasportare due pesanti grigliati metallici dall’ingresso del capannone al reparto saldatura, dove tali manufatti dovevano essere saldati nelle parti interne delle mensole e dei traversi di ferro. Lo stesso decreto del Tribunale dà espressamente atto che la movimentazione del manufatto metallico rientrava, quale operazione accessoria, nell’oggetto del contratto d’appalto stipulato fra la F.lli B. [società committente, ndr] e la M. [società appaltatrice estera, ndr] . Non si vede, dunque, come possa supporsi un’ipotesi di rischio elettivo.»
Infine, la Suprema Corte afferma i seguenti principi di diritto: «”Ai sensi tanto dell’art. 2087 c.c. quanto dell’art. 7 d.lgs. n. 626/94 (applicabile ratione temporís), che disciplina l’affidamento di lavori in appalto all’interno dell’azienda, il committente nella cui disponibilità permanga l’ambiente di lavoro è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell’impresa appaltatrice, misure che consistono nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio, nel predisporre tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza degli impianti e nel cooperare con l’appaltatrice nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata”.
“In tema di infortuni sul lavoro e di c.d. rischio elettivo, premesso che la ratio di ogni normativa antinfortunistica è proprio quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela, la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, creando egli stesso condizioni di rischio estraneo a quello connesso alle normali modalità del lavoro da svolgere. In assenza di tale contegno da parte del lavoratore, l’eventuale suo coefficiente colposo nel determinare l’evento è irrilevante sia sotto il profilo causale sia sotto quello dell’entità del risarcimento dovuto”».
Osservazioni.
La decisione della Cassazione è importante perché afferma due principi di diritto: il primo riguarda l’obbligo in capo al committente nell’adottare tutte le misure necessarie, il secondo attiene all’irrilevanza del comportamento colposo del lavoratore, a meno che questi “abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, creando egli stesso condizioni di rischio estraneo a quello connesso alle normali modalità del lavoro da svolgere”.
Pertanto, grava sul datore di lavoro (e sul committente) l’obbligo di prevedere le possibili condotte colpose dei lavoratori configurabili nel procedimento lavorativo da loro curato, e adottare tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza.