Cassazione: imprenditore obbligato al versamento dei contributi previdenziali anche per gli immigrati clandestini
REPUBBLICA ITALIANA Ud. 06/10/10
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO R.G.N. 10218/2007
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –
Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –
Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10218-2007 proposto da:
R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OPPIDO
MAMERTINA 4, presso lo studio dell’avvocato NEGRETTI GIANDOMENICO,
rappresentato e difeso dall’avvocato MARINO GIORGIO, giusta delega a
margine del ricorso;
– ricorrete –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati XXXX, giusta delega in calce
alla copia notificata del controricorso;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 4 916/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 23/10/2006 R.G.N. 5495/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
06/10/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MATERA MARCELLO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 10-6-2002 R.G. conveniva in giudizio
l’Inps per sentire annullare e/o revocare i verbali di accertamento
impugnati e i connessi contenuti provvedi mentali e sanzionatori, in
quanto lesivi di diritti soggettivi perfetti, del tutto privi di
giustificazione e palesemente illegittimi perche’ assunti “in
travisamento di fatto ed in violazione di norme e principi di diritto
ed in palese straripamento di potere”.
A sostegno della domanda il ricorrente deduceva: che con verbale del
21-2-2002 l’INPS aveva richiesto il pagamento della somma di euro
82.311,35 per contributi, sanzioni ecc. per le inadempienze accertate
in sede di verifica ispettiva durata circa un anno; che dalle
descritte modalita’ di svolgimento del l’accertamento ispettivo
emergevano la violazione del diritto di difesa, la carenza di potere
e l’omesso adempimento della formalita’ prescritta dal D.L. n. 463
del 1983, art. 3 per non avere l’ispettore procedente apposto la
propria firma e la data sotto l’ultima scritturazione del libro paga
e matricola; che per quanto riguardava il contestato mancato
versamento di contributi per sei lavoratori extracomunitari non
poteva trovare applicazione l’art. 2126 c.c. stante l’evidente
carattere illecito della causa e dei motivi dei rapporti di lavoro
con questi intercorsi; che in merito alle lavoratrici S. e
G., sue nuore, non rispondeva al vero che erano occupate a
svolgere attivita’ lavorativa poiche’ abitavano all’interno
dell’azienda; che infine riguardo al lavoratore F.D. non era
possibile ritenerlo operaio a tempo indeterminato anziche’ operaio a
tempo determinato.
L’Inps si costituiva e chiedeva il rigetto del ricorso.
Con sentenza n. 22080/2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di
Roma rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento
delle spese.
Il R. proponeva appello avverso la detta sentenza,
chiedendone la riforma, con l’accoglimento della domanda.
L’istituto appellato si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 23-10-2006,
respingeva l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle
spese.
In sintesi la Corte territoriale, premesso che oggetto del giudizio
era l’azione di accertamento negativo della pretesa creditoria
dell’Inps, concernente un credito contributivo dell’istituto,
riteneva ininfluenti i vizi procedimentali denunziati dal R.
in se’ considerati, potendo i medesimi rilevare soltanto “nell’ambito
della valutazione probatoria delle risultanze dell’attivita’
amministrativa”.
Tanto premesso, esaminate, quindi, le testimonianze V. e
Va., la Corte di merito in sostanza affermava che lo svolgimento
dell’attivita’ ispettiva era risultato conforme alle previsioni del
D.L. n. 463 del 1983, art. 3, conv. con L. n. 638 del 1983, e che gli
asseriti inadempimenti di cui al citato art. 3, comma 2 (peraltro
neppure risultati provati in giudizio) costituivano mere
irregolarita’ che non inficiavano l’intero accertamento ispettivo,
mentre, in ogni caso, “i punti di fatto salienti e in contestazione
dell’accertamento compiuto, anche nei loro riferimenti alle
risultanze della documentazione” avevano “formato oggetto di conferma
in sede testimoniale” per cui “ininfluente” sarebbe rimasto comunque
“l’eventuale venir meno del valore probatorio privilegiato, in parte
qua, del citato verbale ispettivo”.
La Corte territoriale, inoltre, riteneva che nella fattispecie non
era “ravvisatale alcuna illiceita’ dell’oggetto o della causa” dei
contratti di lavoro con i cittadini extracomunitari non in regola ed
infine, respingeva anche le doglianze relative alle posizioni delle
nuore del R. e del lavoratore F.D..
Per la cassazione di tale sentenza il R. ha proposto ricorso
con cinque motivi.
L’INPS ha depositato procura in calce al ricorso notificato.
Infine il R. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente, in sintesi, considerato che
“l’azione ispettiva previdenziale mira a realizzare non interessi
legittimi ma diritti soggettivi previdenziali perfetti” e che
“l’accertamento corretto e conforme al potere di verifica e controllo
realizza la condizione di pretesa creditoria dell’INPS”, deduce che
“se l’INPS, attraverso gli ispettori, viola le norme di legge,
entrando in azienda, non rispettando le specifiche regole poste da
norme procedurali penali a preciso limite dell’accesso aziendale
ispettivo, per le verifiche previdenziali, tutto l’accertamento
dovra’ considerarsi in violazione di diritti soggettivi ineludibili”
ed in quanto tale “neppure nullo, ma inesistente, non essendo
imputabile al soggetto INPS, ma solo all’autore materiale del “fatto
illecito” che e’ privo di volonta’ giuridica dell’INPS”.
Con il secondo motivo, il ricorrente, denunciando “travisamento delle
risultanze probatorie/confessorie acquisite e violazione di legge”
(D.L. n. 463 del 1983, art. 3), sostiene che dalle deposizioni del
maresciallo V. e dell’ispettore Va. in sostanza erano
emersi i denunciati abusi e le lamentate irregolarita’ in sede di
accertamenti ispettivi.
Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art.
116 c.p.c., in sintesi deduce che la Corte d’appello, attesa
“l’illegittimita’ del verbale come atto” scaturito da “accesso
illecito”, era tenuta “a valutare nel merito detto verbale, specie
con riferimento alla sentenza penale” (del Tribunale di Velletri n.
200/96/2005, acquisita agli atti) che indirettamente “estingueva” la
responsabilita’ del datore di lavoro relativamente alle posizioni di
G. e S. (assolte “perche’ il fatto non sussiste”
dall’imputazione di truffa ai danni dell’INPS).
Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando “violazione di
legge”, “per motivazione meramente formale ma intrinsecamente
giustificatrice delle illegalita’ o delle attivita’ in carenza di
potere costituenti il presupposto del verbale ispettivo”, in sostanza
deduce: che la impugnata decisione appare in contrasto con la citata
sentenza penale; che la collaborazione tra operatori pubblici non
puo’ essere “strumentalizzata al fine di incutere timore
all’ispezionato; che la condanna del R., in sede di
patteggiamento, per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art.
12 “prova l’esatto contrario di quanto ritenuto dalla Corte”; che
l’ispezione aveva riguardato tutto il terreno aziendale, nel quale
ben sapeva l’ispettore che vi era l’abitazione del R. e dei
figli.
Con il quinto motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art.
2126 c.c., comma 1, ultimo cpv., in sostanza deduce che, essendo
stata accertata (con la sentenza di patteggiamento) la assunzione di
lavoratori extracomunitari” privi del permesso di soggiorno,
“favorendo la permanenza (degli stessi) nel territorio dello stato”,
tale reato “impedisce l’emersione degli effetti propri di un
contratto (lecito) o di un rapporto di lavoro di fatto
(illegittimo)”, e “l’INPS non puo’ chiedere il pagamento dei
contributi evasi”.
Osserva preliminarmente il Collegio che, trattandosi di ricorso
avverso sentenza pubblicata successivamente all’entrata in vigore del
D.Lgs. n. 40 del 2006 ed anteriormente all’entrata in vigore della L.
n. 69 del 2009, nella fattispecie ratione temporis trova applicazione
l’art. 366 bis c.p.c. (ora abrogato).
Pertanto, in base a quanto piu’ volte affermato da questa Corte, va
qui ribadito che tale norma, “nel prescrivere le modalita’ di
formulazione dei motivi di ricorso in cassazione, comporta, ai fini
della declaratoria di inammissibilita’ del ricorso medesimo, una
diversa valutazione da parte del giudice di legittimita’ a seconda
che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 1, 2, 3 e 4 ovvero del motivo previsto dal n. 5, stessa
disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della
sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui
enunciazione (e formalita’ espressiva) va fiinzionalizzata, come
attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del
principio di diritto ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni
di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il
motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto
riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), e’
richiesta una illustrazione che pur libera da rigidita’ formali, si
deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto
controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta
insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la
decisione” (v. Cass. 25-2-2009 n. 4556).
In particolare il quesito di diritto “deve comprendere l’indicazione
sia della “regola iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia
del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si
sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche
di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso
inammissibile” (v. Cass. 30-9-2008 n. 24339). Peraltro “e’
inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui
formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione
del quesito medesimo, per la sua inidoneita’ a chiarire l’errore di
diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta
fattispecie” (v. Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza
il quesito integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi
logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo
motivo (cfr. Cass. 7-4-2009 n. 8463).
Pertanto e’ inammissibile non solo il motivo nel quale il suddetto
quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo
inconferente rispetto alla illustrazione del motivo stesso; “ovvero
sia formulato in modo implicito, si’ da dovere essere ricavato per
via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo
tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto;
od, infine, sia formulato in modo del tutto generico” (v. Cass. S.U.
28-9-2007 n. 20360 cfr. Cass. S.U.5-2-2008 n. 2658).
Nell’ipotesi, poi, prevista dall’art. 360 c.p.c., n. 5,
“l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di
inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in
relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria,
ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della
motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione” e “la
relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo al
quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in
maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del
ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’” (v. Cass. S.U. 1-
10-2007 n. 20603, Cass. 20-2-2008 4309).
Orbene, nel caso in esame, in relazione al primo motivo, il
ricorrente ha formulato i seguenti quesiti: “Dica la Corte se
l’azione dell’ispettorato interno INPS debba svolgersi nel rispetto
delle tutele dell’indagato sancite dal codice di procedura penale;
dica se l’accertamento sulla corretta applicazione della disciplina
previdenziale in materia di obbligo di contribuzione I.V.S. da parte
di imprese datrici di lavoro, concerna diritti soggettivi perfetti
(diritti ed obblighi) o se l’INPS nella verifica dell’esecuzione del
rapporto previdenziale sia dotato di poteri discrezionali,
insensibili alla regolamentazione processualistica penale”. “Dica la
Corte se il verbale ispettivo adottato alla stregua di attivita’ di
verifica e controllo di adempimenti previdenziali e regolarita’
aziendale incida su diritti soggettivi, e se sussista potere
discrezionale dell’INPS in materia di modalita’ ricognitive e
ispettive. Dica se il provvedimento INPS, privo di causa perche’
scaturito da attivita’ in carenza di potere, sia valutabile
incidenter tantum dall’AGO ai fini della disapplicazione delle
prescrizioni violative di legge (cfr……)”.
Tali quesiti risultano assolutamente generici e privi di qualsiasi
riferimento idoneo ad esprimere una sintesi logico-giuridica delle
questioni sollevate con il motivo, in relazione alla fattispecie
concreta e allo specifico decisimi della Corte di merito (che, tra
l’altro, analiticamente ha escluso la sussistenza in concreto delle
asserite irregolarita’ procedimentali e violazioni della legalita’
nell’azione ispettiva).
In effetti i quesiti, cosi’ come formulati in modo del tutto astratto
e generico, si limitano a chiedere una altrettanto astratta e
generica risposta, che non circoscriverebbe affatto la soluzione
delle questioni specifiche sollevate con il motivo, che pertanto
risulta inammissibile.
Del pari inammissibile e’, inoltre, il secondo motivo, in quanto del
tutto privo di una qualsiasi formulazione di quesito.
Il terzo motivo, poi, che formalmente denuncia “errori in iudicando –
violazione dell’art. 116 c.p.c.”, ed in sostanza lamenta che la
sentenza impugnata non avrebbe “valutato nel merito” il verbale di
accertamento con riferimento alla sentenza penale che aveva assolto
la G. e la S., si conclude con un “quesito” parimenti
generico: “Dica la Corte se ispettori INPS con l’ausilio della
Guardia di Finanza, abbiano violato le norme di legge, in particolare
il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 e la disciplina del codice di
procedura penale (artt. 124, 50, 55, 347 e 348) E se le violazioni
anzidette realizzino la situazione di “carenza di potere” e rendano
nullo o comunque invalido il verbale ispettivo. Dica se il giudice di
merito trascurando l’esame di tali violazioni ed eludendo la
statuizione del giudice penale abbia violato l’art. 116 c.p.c.,
esimendosi da un accertamento dovuto”.
Da un lato, infatti, si richiede genericamente un accertamento delle
violazioni indicate e dall’altro si lamenta, in sostanza, altrettanto
genericamente, un vizio di motivazione in ordine alla citata sentenza
penale, senza evidenziare specificamente gli errori ed i vizi in cui
sarebbe incorsa la Corte territoriale e, soprattutto, senza tener
conto in alcun modo del decisum della detta Corte, che, per un verso,
ha escluso, come si e’ gia’ detto, la sussistenza in concreto delle
asserite irregolarita’ procedimentali e violazioni della legalita’
nell’azione ispettiva e, per altro verso, ha attentamente valutato
anche la assoluzione in sede penale delle nuore del R., nel
quadro, pero’, complessivo di tutta la “serie di elementi” emersi e
specificamente richiamati in sentenza.
Del resto, come questa Corte ha piu’ volte affermato, “in tema di
valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del
libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116
cod. proc. civ. e’ apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione,
nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma
1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza,
non gia’ dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di
legittimita’” (v. fra le altre Cass. sez. 1^ 20-6-2006 n. 14267).
Analoghe considerazioni vanno svolte con riferimento al quarto
motivo, che formalmente denuncia una “violazione di legge per
motivazione meramente formale” e che si conclude con un “quesito”
altrettanto generico, in quanto del tutto prescindente proprio dal
decisum della sentenza impugnata come sopra evidenziato (“Dica la
Corte se il verbale ispettivo sia valido rispetto al contenuto
derivato a) da ispezione del tutto censurata ed eliminata dal
panorama giuridico sostanziale, per effetto della sentenza del
Tribunale Ordinario Penale di Velletri n. 20096/2005 del 17-5-2005 o,
invece, sia nullo almeno in parte qua, b) Dica se la collaborazione
fra organismi pubblici sia valida e legale anche quando e’
finalizzata ad incutere METUS FISCI”).
Cosi’ ritenuti inammissibili i primi quattro motivi, per violazione
dell’art. 366 bis c.p.c., risulta invece rispondente a tale norma il
quesito relativo al quinto motivo, in quanto offre una sufficiente
sintesi logico-giuridica della questione di diritto sollevata con il
detto motivo.
Sennonche’ il motivo stesso e’ infondato e va respinto.
In base infatti al principio affermato da questa Corte, che va qui
ribadito, “in tema di prestazioni lavorative rese dal lavoratore
extracomunitario privo del permesso di soggiorno, l’illegittimita’
del contratto per la violazione di norme imperative (art. 22 T.U.
immigrazione) poste a tutela del prestatore di lavoro (art. 2126 cod.
civ.), sempre che la prestazione lavorativa sia lecita, non esclude
l’obbligazione retributiva e contributiva a carico del datore di
lavoro in coerenza con la razionalita’ complessiva del sistema che
vedrebbe altrimenti alterate le regole del mercato e della
concorrenza ove si consentisse a chi viola la legge sull’immigrazione
di fruire di condizioni piu’ vantaggiose rispetto a quelle cui e’
soggetto il datore di lavoro che rispetti la disciplina in tema di
immigrazione” (v. Cass. 26-3-2010 n. 7380).
Il ricorso va pertanto respinto.
Infine non deve provvedersi sulle spese, non avendo l’istituto
intimato svolto alcuna attivita’ difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.
Cosi’ deciso in Roma, il 6 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2010