Pubblico impiego: legittimo il licenziamento dopo la cessazione del rapporto di lavoro
Con la Sentenza n. 18944 del 5 luglio 2021 la Corte di Cassazione ha ribadito che nell’ambito del cosiddetto pubblico impiego contrattualizzato è legittimo il licenziamento disciplinare del lavoratore collocato a riposo irrogato a seguito di riapertura di un procedimento disciplinare precedentemente sospeso in attesa della definizione del procedimento penale.
IL FATTO- La Corte di Appello di Napoli, in riforma della sentenza del locale Tribunale, aveva rigettato la domanda di un dipendente pubblico volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato al lavoratore già collocato a riposo. In particolare, secondo il giudice del gravame, il datore di lavoro conserva il potere disciplinare pur in presenza del collocamento in quiescenza del lavoratore.
Avverso la sentenza d’appello, il dipendente ha proposto ricorso per Cassazione.
LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE- La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e – in conformità a quanto stabilito dalla Corte d’Appello – ha ribadito che «in tema di pubblico impiego contrattualizzato, qualora sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio a seguito di procedimento penale, l’interesse all’esercizio dell’azione disciplinare da parte della pubblica amministrazione permane anche nell’ipotesi di sopravvenuto collocamento in quiescenza del dipendente, e ciò non solo per dare certezza agli assetti economici tra le parti ma anche per finalità che trascendono il rapporto di lavoro già cessato, poiché il datore pubblico è pur sempre tenuto a intervenire a salvaguardia di interessi collettivi di rilevanza costituzionale, nei casi in cui vi sia un rischio concreto di lesione della propria immagine». Secondo i giudici di legittimità «il datore di lavoro ha l’onere di attivare o riprendere l’iniziativa disciplinare al fine di valutare autonomamente l’incidenza dei fatti già sottoposti al giudizio penale e definire il destino della sospensione cautelare, legittimando, in difetto, la pretesa del lavoratore a recuperare le differenze stipendiali tra l’assegno alimentare percepito e la retribuzione piena che sarebbe spettata in assenza della misura cautelare».
Il testo completo della decisione (estratto dal sito web della Corte): Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sent. n. 18944/2021