Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e obbligo di repêchage
Con la Sentenza n. 7218 del 15 marzo 2021, la Suprema Corte di Cassazione ha nuovamente affrontato il tema relativo alla ripartizione dell’onere nella prova nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in caso di soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore licenziato.
IL FATTO – La Corte d’Appello di Milano aveva respinto il gravame promosso da un lavoratore contro la decisione di primo grado che, a sua volta, aveva rigettato domanda volta all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatogli per giustificato motivo oggettivo. La Corte distrettuale, ribadendo la giustezza di quanto deciso nel processo di primo grado, riteneva sussistente il giustificato motivo oggettivo alla base del licenziamento intimato a seguito di riduzione dell’organico per motivazioni economiche e precisava che non poteva attribuirsi rilevanza all’assunzione (avvenuta a pochi giorni di distanza dal licenziamento dell’appellante) di altro lavoratore addetto però a mansioni differenti (ed inferiori).
Il lavoratore ha quindi interposto ricorso per Cassazione censurando l’asserita violazione dell’obbligo di repêchage in ragione della mancata prova, da parte datoriale, circa l’impossibilità di utilizzare il dipendente in mansioni equivalenti o, in mancanza di queste, anche deteriori.
LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE – La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, richiama precedenti decisioni in cui era stato chiarito che «il lavoratore ha l’onere di dimostrare il fatto costitutivo dell’esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato così risolto, nonché di allegare l’illegittimo rifiuto del datore dì continuare a farlo lavorare in assenza di un giustificato motivo, mentre incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo, che include anche l’impossibilità del c.d. repêchage, ossia dell’inesistenza di altri posti di lavoro in cui utilmente ricollocare il lavoratore». Nel caso di licenziamento per la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore, precisa la Corte, sul datore di lavoro grava «l’onere di provare in giudizio che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti, non venendo tuttavia in rilievo tutte le mansioni inferiori dell’organigramma aziendale, ma solo quelle che siano compatibili con le competenze professionali del lavoratore». La Corte di Cassazione conferma dunque l’orientamento della Corte d’Appello milanese: l’assunzione di altro lavoratore cui siano affidate mansioni (diverse ed) inferiori non costituisce violazione dell’obbligo di repêchage.
Il testo integrale della decisione: Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza n. 7218/2021