Sulla nozione di subordinazione (in ambito medico)
Con la Sentenza n. 14975 del 14 luglio 2020, la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata sul delicato tema della subordinazione nell’ambito dell’attività medico-professionale.
Come evidenziato dagli Ermellini, nell’ambito di tale tipologia di attività lavorativa risulta più problematica del solito l’individuazione degli effettivi “contorni” del rapporto lavorativo.
Alla luce della pacifica irrilevanza del cosiddetto nomen juris del contratto (e, cioè, della qualificazione del rapporto operata dalle parti in sede di stipula del contratto), nel caso di prestazioni connesse all’esercizio della professione medica l’analisi del giudicante non potrà limitarsi ad una generica osservazione – quale discrimine tra rapporto di lavoro subordinato ed autonomo – del vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare della possibile parte datoriale.
Ed infatti, l’espletamento della prestazione medica, in quanto attività professionale, non richiede di per sé l’esercizio di un potere gerarchico caratterizzato dal dispensare ordini e direttive nonché, d’altra parte, in un percepibile esercizio del potere disciplinare.
Di conseguenza, per i Giudici di piazza Cavour l’eventuale sussistenza della subordinazione non potrà che essere apprezzata con riferimento all’intensità della cosiddetta eterorganizzazione laddove incidente in misura maggiore rispetto alle normali esigenze di coordinamento ed invero concretizzata dall’effettiva, diretta e continua dipendenza dell’operatore sanitario dall’impresa presso cui eventualmente presta servizio.
Dovranno quindi valutarsi elementi “sintomatici” quali l’appartenenza al datore di lavoro (una Casa di cura, nel caso posto al vaglio della Corte) degli strumenti e delle apparecchiature utilizzate dal lavoratore, il potere di decidere e fissare gli orari di lavoro degli operatori medici, nonché l’eventuale obbligatorietà per quest’ultimi di richiedere sostituzioni e permessi in caso di assenza.
Con tale statuizione, invero, la Suprema Corte ha nella sostanza confermato la propria precedente elaborazione giurisprudenziale, avallando dunque quanto statuito nel caso di specie dalla Corte d’Appello di Roma e, pertanto, confermando la sentenza gravata. Nel consolidare il proprio orientamento interpretativo, gli Ermellini hanno ancora una volta posto l’accento sulla necessità di valutare – in particolare al ricorrere di mansioni intellettuali o professionali – determinati criteri, definiti complementari e sussidiari, in quanto privi singolarmente di valore decisivo ma apprezzabili globalmente come indizi probatori della subordinazione (cosiddetti indici sintomatici della subordinazione):
- la continuità delle prestazioni;
- l’osservanza di un orario determinato;
- il ricorrere di una retribuzione prestabilita versata a cadenze fisse;
- il coordinamento dell’attività lavorativa in capo al committente/datore di lavoro;
- l’assenza in capo al lavoratore di una pur minima struttura imprenditoriale.
Il testo completo della decisione: Cassazione Civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 14975 del 2020.