Corte Costituzionale: la violazione delle “quote rosa” è sindacabile in sede giudiziaria
Rientra tra le funzioni dell’autorità giudiziaria sindacare la legittimità di un atto, anche quando questo abbia natura politica e provenga da un organo politico, se e in quanto abbia violato una norma giuridica.
Pertanto, anche l’atto di nomina di un assessore da parte del Presidente della Giunta è sanzionabile quando abbia comportato la violazione del principio della parità di genere e della equilibrata presenza di uomini e donne nella formazione degli organi e degli uffici regionali. Questo è quanto ha statuito la Corte Costituzionale, che con la sentenza n. 81 del 5 aprile 2012 ha dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzione promosso dalla Regione Campania.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Alfonso QUARANTA Presidente
– Franco GALLO Giudice
– Luigi MAZZELLA
– Gaetano SILVESTRI
– Sabino CASSESE
– Giuseppe TESAURO
– Paolo Maria NAPOLITANO
– Giuseppe FRIGO
– Paolo GROSSI
– Giorgio LATTANZI
– Aldo CAROSI
– Marta CARTABIA
– Sergio MATTARELLA
– Mario Rosario MORELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 4502 del 27 luglio 2011, confermativa della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione I, n. 1985 del 7 aprile 2011, promosso dalla Regione Campania con ricorso notificato il 26 settembre 2011, depositato presso la cancelleria il 7 ottobre 2011 ed iscritto al n. 11 del registro conflitti tra enti 2011.
Visti l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché l’atto di intervento, fuori termine, dell’avvocato Annarita Petrone;
udito nell’udienza pubblica del 20 marzo 2012 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Campania e l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso depositato presso la cancelleria della Corte il 7 ottobre 2011 ed iscritto al n. 11 del registro conflitti del 2011, regolarmente notificato al Presidente del Consiglio dei ministri, in data 26 settembre 2011 e al Consiglio di Stato e al Tribunale amministrativo regionale della Campania, in data 3 e 4 ottobre 2011, la Regione Campania ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione dell’art. 122, quinto comma, della Costituzione, in relazione alla sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 4502 del 27 luglio 2011, confermativa della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione I, n. 1985 del 7 aprile 2011, con cui è stato annullato il decreto del Presidente della Giunta regionale di nomina di un assessore, per violazione dell’art. 46, comma 3, dello statuto della Regione Campania.
2.— Il giudice amministrativo era stato adito dall’avvocato Annarita Petrone, a tutela del proprio interesse a concorrere alla nomina ad assessore regionale in quota femminile, la quale perciò aveva impugnato il decreto presidenziale di nomina dei componenti della Giunta regionale campana (decreto del Presidente della Giunta della Regione Campania, n. 106 del 19 maggio 2010), nonché i successivi decreti di rettifica, compreso quello con il quale un assessore dimissionario è stato sostituito con la nomina di un nuovo assessore di sesso maschile (decreto del Presidente della Giunta della Regione Campania, n. 136 del 16 luglio 2010, Affari generali della Presidenza e collegamenti con gli assessori – Presa d’atto dimissioni Assessore Ernesto Sica – Nomina Dr. Vito Amendolara). La ricorrente lamentava la violazione del principio della parità di genere e della equilibrata presenza di uomini e donne nella formazione degli organi e degli uffici regionali, di cui agli artt. 1, 5, 22, 35, 46 e 47 dello statuto della Regione Campania, in ragione della presenza di una sola componente di sesso femminile, tanto nella composizione originaria dell’organo esecutivo della Regione, quanto in quella risultante dopo la sostituzione di un assessore dimissionario.
Il TAR Campania, sez. I, con sentenza del 7 aprile 2011, n. 1985, ha accolto il ricorso, annullando solo il citato d. Pres. Giunta reg. n. 136 del 2010, con cui il Presidente della Giunta aveva sostituito l’assessore dimissionario dott. Ernesto Sica, con il dott. Vito Amendolara. Tale decreto, secondo il TAR, ha reiterato il disequilibrio, già determinatosi in occasione della prima tornata di investiture, tra componenti di sesso femminile e componenti di sesso maschile, in violazione del dettato dell’art. 46, comma 3, dello statuto della Regione Campania, che richiede invece il «pieno rispetto del principio di una equilibrata presenza di donne e uomini».
3.— La decisione del TAR è stata impugnata dalla Regione Campania davanti al Consiglio di Stato, che con la sentenza della sezione V, n. 4502 del 27 luglio 2011, ha respinto l’appello, confermando la decisione del giudice di primo grado.
Il Consiglio di Stato non ha accolto i motivi di appello proposti dalla Regione Campania, affermando tra l’altro che non può riconoscersi natura di “atto politico” ai decreti di nomina degli assessori, nella misura in cui tali atti siano soggetti al rispetto di criteri giuridici come quello relativo al «pieno rispetto di una equilibrata presenza di donne e uomini», sancito dall’art. 46, comma 3, dello statuto Campania. Pertanto, il Consiglio di Stato ha ritenuto che gli atti di nomina degli assessori siano impugnabili davanti al giudice amministrativo e che non sia applicabile nella fattispecie l’art. 7 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), c.d. codice del processo amministrativo, in base al quale il ricorso giurisdizionale non è ammesso se trattasi di provvedimenti adottati dal Governo nell’esercizio del potere politico. Né il giudice amministrativo ha ritenuto di poter accogliere la deduzione, avanzata dalla Regione Campania, in base alla quale l’art. 46, comma 3, dello statuto regionale ha esclusivamente valenza programmatica e come tale è privo di efficacia vincolante. Nel merito, prosegue il Consiglio di Stato, il canone «dell’equilibrata presenza di donne ed uomini», che fungerebbe da limite alla pur ampia discrezionalità presidenziale nelle designazioni assessorili, non può dirsi soddisfatto con la nomina di un unico componente di sesso femminile.
4.— Nel ricorso per conflitto di attribuzioni, presentato all’esame di questa Corte, la Regione contesta l’assunto alla base delle decisioni del giudice amministrativo, con particolare riferimento a quella del Consiglio di Stato, che non riconoscono la natura di “atto politico” ai decreti di nomina degli assessori.
La Regione, dopo aver rilevato che non può esserci alcun dubbio sull’ammissibilità di un conflitto di attribuzione tra enti avverso un atto giurisdizionale, incentra i motivi di ricorso sulla natura politica dell’atto con cui il Presidente della Giunta regionale, in forza dell’art. 122, quinto comma, Cost. nomina gli assessori. La ricorrente osserva che la scelta degli assessori si fonda sull’intuitus personae e non necessita di essere sorretta da alcuna ulteriore motivazione. Di conseguenza la Regione ritiene che la pronuncia di un organo giurisdizionale, che abbia ad oggetto la validità di un decreto di nomina della Giunta regionale o di alcuni dei suoi componenti, menomi i poteri assegnati dalla Costituzione al Presidente della Giunta regionale e sia pertanto lesiva delle proprie attribuzioni.
Non inciderebbe sulla natura politica dell’atto in questione, secondo la difesa regionale, neppure la presenza di norme di carattere promozionale, come l’art. 51 Cost., o programmatico, come l’art. 117, settimo comma, Cost., o di principio, come appunto viene definito l’art. 46, comma 3, dello statuto regionale. Tali disposizioni non avrebbero la necessaria forza giuridica per degradare l’atto politico in atto di alta amministrazione. Di tali disposizioni, ed in particolare, di quelle di principio, come l’art. 46, comma 3, dello statuto – da cui non sarebbe possibile trarre un contenuto precettivo di carattere vincolato, secondo la difesa regionale – possono farsi interpreti solo gli organi di governo della Regione, senza andar soggetti a giudizio in sede giurisdizionale.
Infine, osserva la difesa della Regione, l’atto di nomina della Giunta, sottratto ad ogni forma di sindacato giurisdizionale, non sarebbe comunque indenne da forme di controllo politico e istituzionale, dovendo il Presidente della Giunta rispondere del proprio operato davanti al Consiglio regionale e al corpo elettorale, considerato inoltre che, in casi estremi, si potrebbe persino giungere alla rimozione del Presidente che abbia compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, ai sensi dell’art. 126, primo comma, della Costituzione.
Per le ragioni sopra richiamate, la Regione Campania ha chiesto che venga dichiarato che non spettava allo Stato – per il tramite di un organo giurisdizionale – sindacare la legittimità dell’atto di nomina di un assessore regionale da parte del Presidente della Giunta della Regione Campania e di conseguenza che sia annullata la sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 4502 del 27 luglio 2011. Contestualmente la Regione ricorrente ha depositato istanza di sospensione cautelare dell’atto impugnato, poiché l’esecuzione medio tempore della decisione del Consiglio di Stato concreterebbe un gravissimo vulnus alla continuità dell’azione amministrativa e istituzionale della Regione, esponendola a gravi rischi di interruzioni.
5.— Con atto depositato il 3 novembre 2011, si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che venga dichiarata l’inammissibilità o, comunque, rigettato il ricorso, e frattanto respinta l’istanza cautelare, presentata dalla Regione Campania.
L’inammissibilità discenderebbe dal fatto che il ricorso lamenta un difetto di interpretazione dell’art. 46, comma 3, dello statuto, dal quale i giudici amministrativi hanno tratto un vincolo giuridico al potere di nomina degli assessori da parte del Presidente della Giunta regionale. L’asserita insindacabilità dell’atto di nomina avrebbe dovuto essere fatta valere da parte della Regione in sede di ricorso per motivi di giurisdizione alle sezioni unite della Corte di cassazione, organo al quale spetta sindacare il difetto assoluto di giurisdizione. Il conflitto proposto dalla Regione davanti alla Corte costituzionale costituirebbe perciò un mezzo improprio di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale, inammissibile per costante giurisprudenza della Corte costituzionale.
Il ricorso risulterebbe inoltre infondato perché l’art. 46, comma 3, dello statuto regionale non si limiterebbe ad affiancare alle norme contenute negli artt. 51, primo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione un’altra e del tutto superflua norma di principio ripetitiva delle prime, ma costituirebbe attuazione delle richiamate norme costituzionali, vincolando le scelte del Presidente della Giunta regionale al “pieno rispetto” del principio delle pari opportunità e consentendone di conseguenza il sindacato giurisdizionale che ne verifichi l’eventuale violazione. Ne conseguirebbe che il rispetto della norma statutaria debba essere ritenuta sindacabile in giudizio, senza in alcun modo impingere nella fiduciarietà che caratterizza la scelta degli assessori regionali.
In merito all’istanza di sospensione, l’Avvocatura generale dello Stato sostiene che essa non è assistita da imperiose esigenze cautelari, dal momento che i pregiudizi paventati dalla Regione possono essere superati ricorrendo a «meccanismi di sostituzione interinale ovvero attraverso l’esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, che non produrrebbe effetti irreversibili, tenuto conto del potere di revoca attribuito al Presidente della Giunta dall’art. 122 Costituzione».
6.— In prossimità della camera di consiglio fissata per la trattazione dell’istanza di sospensione ai sensi dell’art. 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e dell’art 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la Regione Campania ha depositato una memoria che ribadisce le ragioni già sostenute nel ricorso, insistendo per l’accoglimento dell’istanza cautelare e la sospensione dell’efficacia della sentenza del Consiglio di Stato. Per quanto riguarda il periculum in mora la memoria ribadisce l’urgenza che si riprenda la normale attività di governo della Regione, attività pregiudicata dalla sentenza del Consiglio di Stato.
7.— L’avvocato Annarita Petrone, in qualità di diretta interessata alla decisione che ha provocato il conflitto, ha depositato fuori termine, il 7 novembre 2011, atto di intervento, al fine di resistere al ricorso presentato dalla Regione Campania e di chiederne il rigetto.
8.— Con ordinanza n. 302 del 2011, pronunciata all’esito della camera di consiglio del 9 novembre 2011, nella quale sono stati sentiti i difensori delle parti, e fatta salva ogni valutazione sull’ammissibilità e sul merito del conflitto, questa Corte ha rigettato l’istanza cautelare proposta dalla Regione Campania, in quanto ha giudicato non sussistenti le «gravi ragioni» in presenza delle quali soltanto, ai sensi dell’art. 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87, possono essere sospesi gli effetti degli atti che hanno dato origine al conflitto, considerato che, in specie, l’attività della Giunta non risulta in alcun modo esposta a pregiudizio per effetto della sentenza del Consiglio di Stato.
9.— In prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria in gran parte riassuntiva delle deduzioni già svolte in fase cautelare, nella quale si rileva altresì la mancanza del necessario tono costituzionale del conflitto. La memoria ribadisce l’inammissibilità del ricorso, perché la questione introdotta si risolverebbe in un problema puramente interpretativo della norma statutaria, che esula manifestamente dalle competenze della Corte. Il ricorso sarebbe comunque infondato, perché allo statuto regionale è consentito vincolare la scelta degli assessori al rispetto di canoni predeterminati dal legislatore regionale, ivi compreso quello dell’equilibrata presenza di donne e uomini.
10.— In occasione dell’udienza pubblica, la Regione Campania ha depositato un’ulteriore memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso, ulteriormente sviluppando gli argomenti già introdotti con gli interventi precedenti. In particolare la ricorrente, nel ribadire integralmente le ragioni esposte nell’atto introduttivo e nella memoria depositata in occasione della discussione sull’istanza cautelare, ritiene che nel nuovo assetto regionale l’atto di nomina di un assessore della Giunta regionale si configura quale autentico esempio di atto politico.
Considerato in diritto
1.— La Regione Campania ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alla sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 4502 del 27 luglio 2011, confermativa della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione I, n. 1985 del 7 aprile 2011, con cui è stato annullato l’atto del Presidente della Giunta regionale di nomina di un assessore, per violazione dell’art. 122, quinto comma, della Costituzione.
2.— L’intervento dell’avvocato Annarita Petrone – diretta interessata alla decisione del giudice amministrativo che è all’origine del presente conflitto – è stato depositato oltre il termine stabilito dalle norme che disciplinano il giudizio dinanzi alla Corte costituzionale (artt. 25, secondo comma, e 41 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nonché artt. 4, comma 4, e 25, comma 4, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale). Tale termine è, per costante orientamento di questa Corte, perentorio (ex plurimis sentenze n. 257 del 2007 e n. 190 del 2006). Pertanto, indipendentemente da ogni altra considerazione sulla partecipazione di soggetti diversi da quelli espressamente previsti nel giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni, l’intervento deve essere dichiarato inammissibile per inosservanza del termine.
3.— Il conflitto proposto dalla Regione ricorrente è inammissibile.
Occorre anzitutto osservare che già nei giudizi davanti al giudice amministrativo la Regione aveva eccepito la natura di “atto politico” che, in tesi, dovrebbe essere riconosciuta al decreto con cui il Presidente della Regione nomina i componenti della Giunta regionale. La ricorrente richiama la lunga tradizione giuridica, risalente nel tempo – di cui l’art. 7 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), che riproduce l’art. 31 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), costituirebbe solo la più recente espressione – in virtù della quale gli atti emanati nell’esercizio del potere politico sarebbero istituzionalmente e per natura sottratti ad ogni sindacato giurisdizionale. Tale sarebbe anche il caso della nomina degli assessori da parte del Presidente della Giunta regionale, specie in considerazione del peculiare ruolo attribuito a quest’ultimo nella forma di governo regionale, dopo la riforma degli statuti regionali attuata con la legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni).
In proposito, occorre osservare che, per quanto l’argomento relativo alla “natura politica” dell’atto impugnato fosse stato dedotto sin dal giudizio di fronte al TAR, la ricorrente non ha fatto ricorso ai rimedi predisposti dall’ordinamento nel caso di indebito sindacato del giudice amministrativo sui cosiddetti “atti politici”, rimedi che avrebbero consentito di verificare che l’atto oggetto del giudizio fosse effettivamente sindacabile in sede giurisdizionale e non rientrasse tra gli atti non impugnabili ai sensi dell’art. 7 del citato d.lgs. n. 104 del 2010. Non risulta che la ricorrente abbia impugnato per presunto difetto assoluto di giurisdizione la sentenza del Consiglio di Stato, così come previsto dall’art. 111, ottavo comma, della Costituzione, con ricorso ai sensi dell’art. 362, primo comma, del codice di procedura civile.
4.— In ogni caso, in questa sede deve essere accolta l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, dato che la Regione Campania ha denunciato, in effetti, semplici errores in iudicando riguardanti l’interpretazione dell’art. 46 dello statuto regionale, e ha dunque portato all’esame della Corte un conflitto di attribuzioni che, ad un attento esame, si risolve in un improprio mezzo di gravame avverso le sentenze del giudice amministrativo.
4.1.— A tal riguardo, occorre ricordare che questa Corte è sempre chiamata a verificare se il ricorso per conflitto, al di là delle formali asserzioni a sostegno della prospettazione, si traduca in uno strumento atipico di impugnazione e come tale risulti quindi inammissibile. Non vi è dubbio, infatti, che il conflitto intersoggettivo possa riguardare anche atti di natura giurisdizionale; condizione però di ammissibilità di tale tipo di conflitto è che esso non si risolva in un mezzo improprio di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale, valendo, contro gli errori in iudicando, di diritto sostanziale o processuale, i consueti rimedi previsti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni (tra le altre, le sentenze n. 72 del 2012, nn. 150 e 2 del 2007, n. 326 e n. 276 del 2003). È chiaro, quindi, che il conflitto non può surrettiziamente trasformarsi in un ulteriore grado di giudizio avente portata generale.
Nella specie, la Regione Campania, benché asserisca di non voler portare all’esame della Corte costituzionale il modo di esercizio della funzione giurisdizionale da parte del giudice amministrativo, prospetta proprio un conflitto di tale contenuto, essendo il ricorso incentrato su un problema di interpretazione del diritto vigente, e in particolare dell’art. 46, comma 3, dello statuto della Regione Campania, in relazione al quale la ricorrente contesta il percorso ermeneutico seguito nella decisione del Consiglio di Stato.
4.2.— La ricorrente muove, infatti, dall’affermazione che nell’ordinamento esistono aree sottratte al sindacato giurisdizionale, in quanto espressive di attività politica, come tali insindacabili da parte del giudice. Ne sarebbe una riprova la permanenza nell’ordinamento dell’art. 7 del codice del processo amministrativo, nel quale, come ricordato poco sopra, si afferma che «non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico». A conferma, la ricorrente richiama la giurisprudenza dei giudici ordinari e amministrativi, applicativa della norma menzionata, la quale, peraltro, è stata particolarmente rigorosa nel delimitare i confini della categoria degli atti non impugnabili davanti al giudice amministrativo (criteri che in altra occasione anche questa Corte ha condiviso, sentenza n. 103 del 1993).
L’affermazione della ricorrente, quanto all’esistenza di spazi riservati alla scelta politica, è condivisibile e suffragata da elementi di diritto positivo. Ciò nondimeno, gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto. Nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate.
4.3.— Nel caso portato all’esame della Corte, il legislatore regionale della Campania, nell’esercizio dell’autonomia politica ad esso accordata dall’art. 123 della Costituzione, ha ritenuto di dover delimitare il libero apprezzamento del Presidente della Giunta regionale nella scelta degli assessori, stabilendo alcuni vincoli di carattere generale, in sede di elaborazione dello statuto. Ad esempio, con una previsione che contraddistingue lo statuto campano da quello di altre regioni, il legislatore regionale ha voluto predeterminare il numero dei componenti della Giunta regionale, prevedendo esplicitamente che essa sia «composta dal Presidente e da dodici assessori, compreso il vicepresidente» (art. 50, comma 2, statuto Campania). Parimenti, per quanto riguarda l’individuazione dei componenti dell’esecutivo regionale, lo statuto, pur preservando in capo al Presidente il più ampio margine di scelta per permettergli di comporre la Giunta secondo le proprie valutazioni di natura politica e fiduciaria, prescrive che gli assessori siano nominati «nel pieno rispetto del principio di un’equilibrata presenza di donne e uomini» (art. 46, comma 3), di talché la discrezionalità spettante al Presidente risulta arginata dal rispetto di tale canone, stabilito dallo statuto, in armonia con l’articolo 51, primo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione.
La circostanza che il Presidente della Giunta sia un organo politico ed eserciti un potere politico, che si concretizza anche nella nomina degli assessori, non comporta che i suoi atti siano tutti e sotto ogni profilo insindacabili. Né, d’altra parte, la presenza di alcuni vincoli altera, di per sé, la natura politica del potere esercitato dal Presidente con l’atto di nomina degli assessori, ma piuttosto ne delimita lo spazio di azione.
L’atto di nomina degli assessori risulterà, dunque, sindacabile in sede giurisdizionale, se e in quanto abbia violato una norma giuridica.
4.4.— Così inteso, il conflitto proposto dalla Regione Campania si risolve in un problema di corretta individuazione della natura e della portata dei vincoli stabiliti dall’art. 46 dello statuto, problema che – come tutte le questioni di interpretazione – rientra nelle funzioni dell’autorità giudiziaria, e che questa Corte non è chiamata a sindacare in sede di conflitto di attribuzioni. Per queste ragioni si deve concludere che il conflitto di attribuzione promosso dalla Regione Campania è inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile l’intervento in giudizio dell’avvocato Annarita Petrone;
2) dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione promosso dalla Regione Campania, nei confronti dello Stato, avente ad oggetto la sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 4502 del 27 luglio 2011, confermativa della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione I, n. 1985 del 7 aprile 2011.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 aprile 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2012.
Il Cancelliere
F.to: MILANA