Sedi

00195 Roma – Via Buccari, 3

Contatti

Sulla nozione di spettacolo ai fini della contribuzione alla gestione ex-ENPALS

  /  In Evidenza   /  Sulla nozione di spettacolo ai fini della contribuzione alla gestione ex-ENPALS

Sulla nozione di spettacolo ai fini della contribuzione alla gestione ex-ENPALS

Con Ordinanza n. 11376 del 12 giugno 2020 la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, in tema di tutela previdenziale dei lavoratori dello spettacolo, ha chiarito quali sono le categorie assoggettate  all’obbligo di iscrizione alla gestione ex-ENPALS, ricomprendendo nella nozione di spettacolo non solo quello che si svolge dal vivo, ma anche quello riprodotto e registrato, destinato all’utilizzazione da parte di una pluralità di persone. 

IL FATTO- La Corte d’appello, confermando la sentenza del Tribunale di primo grado, accoglieva parzialmente l’opposizione proposta da una casa discografica alla cartella esattoriale emessa in favore dell’ Ente nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei lavoratori dello spettacolo – ENPALS per contributi e somme aggiuntive relative al periodo dal 1994 al 1998, condannando la società a corrispondere gli importi relativi a tutte le posizioni di cui al relativo verbale di accertamento.

In particolare, la Corte territoriale affermava che non fossero ostative alla debenza della contribuzione relativa a musicisti, orchestrali, attori, coristi le circostanze per cui l’attività svolta dalla società: a) consistesse nell’acquisizione dei diritti di utilizzazione economica di brani musicali e nella cessione a terzi della relativa licenza;  b) non consistesse nell’organizzazione di spettacoli né nella registrazione diretta dei brani musicali. Ciò in quanto «spettacolo» non è solo quello che si svolge dal vivo, ma anche quello riprodotto e registrato, destinato all’utilizzazione da parte di una pluralità di persone. Inoltre, il Collegio considerava retribuzione imponibile i compensi effettivamente percepiti a titolo di royalties, argomentando che il D.M. 29/12/2003 avesse confermato la natura di retribuzione differita di detti compensi.

La casa discografica adiva la Suprema Corte di Cassazione.
LA DECISIONE DELLA CORTE-  La Suprema Corte, accogliendo solo in parte il ricorso, ha chiarito che:

  • Il legislatore è stato consapevole, già con la prima disposizione regolatrice, che il concetto di spettacolo [fosse] passibile di sviluppo e modificazione nel tempo, avendo rimesso (art. 3) ad un decreto del Capo dello Stato su proposta del Ministro del lavoro, di estendere l’assicurazione ad altre categorie di lavoratori dello spettacolo non contemplate nella medesima disposizione. In applicazione di detta norma, l’obbligo assicurativo presso l’ ENPALS è stato progressivamente esteso ad altre figure professionali che erano invero estranee alla nozione di spettacolo in senso stretto, valorizzandosi la finalità di destinazione all’intrattenimento, in senso lato”;
  • “Non vi è stata quindi l’introduzione di nuove categorie di lavoratori assoggettati alla tutela dell’ ENPALS, ma l’esplicitazione della ricomprensione nell’ambito della stessa di figure emergenti nella pratica, che già in precedenza potevano esservi fatte rientrare”, come ad esempio la figura degli animatori turistici.

Pertanto, il Collegio ha confermato il principio per cui «in tema di tutela previdenziale dei lavoratori dello spettacolo, sono soggetti all’obbligo di iscrizione all’ENPALS anche i “deejay producers” e i tecnici del suono, le cui prestazioni, pur rese negli studi di incisione senza presenza di pubblico e consistenti nella realizzazione di supporti registrati destinati alla commercializzazione, si traducono in produzioni di carattere artistico destinate alla fruizione del pubblico attraverso le nuove tecnologie, da ricomprendere nella nozione di “spettacolo”, come evolutasi nel tempo, ai sensi dell’art. 3 del dig. C.p.s. n. 708 del 1947, nel testo modificato dalla I. n. 289 del 2002».

Sulla base di tali presupposti, dunque, la Corte ha rigettato i cinque motivi di ricorso della casa discografica, accogliendo esclusivamente il motivo con cui la ricorrente lamentava che i contributi dovuti fossero stati calcolati sul 100% dei compensi, anziché nella misura massima del 60%.

Il testo completo della decisione: Cassazione civile, Sez. Lavoro, Ordinanza n. 11376 del 2020

css.php