Pubblico impiego: in caso di dichiarazioni mendaci è legittima la risoluzione del contratto e l’esclusione dalla graduatoria
Con Sentenza n. 10854 dell’8 giugno 2020, la Suprema Corte di Cassazione, Sez. lavoro, ha affermato che in caso di dichiarazioni mendaci in merito ad una condanna penale è legittima la risoluzione immediata del contratto di lavoro in corso e il depennamento dalle graduatorie di Istituto
IL FATTO- La Corte d’Appello confermava la sentenza del Tribunale di prime cure che aveva respinto la domanda proposta da un dipendente del Miur, con mansioni di assistente tecnico presso un Istituto scolastico per la dichiarazione di illegittimità dei provvedimenti del Dirigente scolastico con cui era stata disposta la risoluzione immediata del contratto di lavoro a termine in corso e il depennamento dalle graduatorie di Istituto di terza fascia del personale ATA.
In particolare la Corte riteneva che: a) nell’autocertificazione rilasciata all’atto della assunzione il ricorrente aveva dichiarato di non avere riportato condanne penali; b) tuttavia, nei confronti di questi era stata emessa una sentenza di applicazione della pena ex articoli 444 e ss. c.p.p., divenuta irrevocabile; c) la risoluzione del rapporto di lavoro era avvenuta ai sensi dell’articolo 75 D.p.r. n. 445/2000, per la non-veridicità del contenuto di tale dichiarazione; d) la sentenza di patteggiamento era equiparata ad una sentenza di condanna; e) non potevano essere tenute in considerazione l’avvenuta estinzione del reato per il decorso di cinque anni dalla irrevocabilità della sentenza, in quanto restava il dato storico della emissione della sentenza, che doveva essere dichiarata nella autocertificazione, né lo stato soggettivo di buona fede dedotto dal dipendente né, tanto meno, l’archiviazione del procedimento penale a suo carico per i fatti che avevano dato luogo alla risoluzione del rapporto di lavoro.
LA DECISIONE DELLA CORTE- La Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che “l’articolo 653 cod.proc.pen. laddove si riferisce alla efficacia di giudicato della «sentenza penale di condanna» comprende anche la sentenza di applicazione della pena, per la genericità del dato testuale e per il fatto che l’art. 445 cod.proc.pen., comma 1 bis, stabilisce che «salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna”. Ad avviso della Corte, il medesimo principio è estensibile “a tutte le ipotesi, in cui il dato testuale faccia genericamente riferimento ad una «sentenza di condanna» e manchi una specifica previsione di esclusione della sentenza di applicazione della pena ex articolo 444 cod.proc.civ.“.
Da tale principio, la Suprema Corte ha fatto discendere la correttezza della equiparazione compiuta dalla Corte d’appello.
Quanto al profilo dell’elemento soggettivo, il Collegio ha chiarito che:
- “occorre distinguere la ipotesi di cui all’articolo 75 DPR 445/2000 da quella considerata dall’articolo 55 quater, comma uno lettera d) D.Lgs. 165/2001 come ipotesi di licenziamento disciplinare (…) Nell’ipotesi di cui all’articolo 75 DPR 445/2000 non rileva lo stato psicologico del dichiarante. (…) La norma dispone che «qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera (…)
- “in relazione al pubblico impiego privatizzato, dunque, essa si applica allorquando l’ infedeltà del contenuto della dichiarazione sostitutiva comporti la assenza di un requisito che avrebbe in ogni caso impedito l’instaurazione di un rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione; ciò che assume rilievo è, in altri termini, la oggettiva assenza del requisito, che determina la decadenza di diritto, quale effetto di un vizio genetico del contratto (nullità). Sicché è la falsità di dati decisivi per la assunzione a comportare la decadenza, senza possibilità di qualsivoglia diversa valutazione”;
- nelle altre ipotesi, invece, le produzioni o dichiarazioni false commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro possono comportare, una volta instaurato il rapporto, il licenziamento disciplinare ai sensi dell’articolo 55 quater, nel rispetto del relativo procedimento e sempre che, valutate tutte le circostanze del caso concreto, la misura risulti proporzionata.
Sulla scorta di tali principi – ritenendo che nel caso di specie fosse irrilevante aver prodotto un diverso certificato penale da cui risultava l’incensuratezza di questi e che il reato oggetto della sentenza di applicazione della pena fosse tra quelli che impedivano l’inserimento nelle graduatorie di istituto – la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del dipendente dell’Istituto scolastico.
Il testo completo della decisione: Cassazione civile, Sez. Lavoro, Sentenza n. 10854 del 2020