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Sottrazione dei files aziendali da parte del dipendente: è appropriazione indebita

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Sottrazione dei files aziendali da parte del dipendente: è appropriazione indebita

Con Sentenza n. 11959 la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Penale, ha affermato che si configura la fattispecie criminosa dell’appropriazione indebita prevista dal codice penale quando il dipendente sottragga dei files da un computer aziendale dopo averli duplicati e cancellati.

IL FATTO- Un lavoratore di una nota azienda, prima di dimettersi ed essere assunto da un’altra azienda operante nello stesso settore “(…) restituiva il notebook aziendale, a lui affidato nel corso del rapporto di lavoro, con l’hard disk formattato, senza traccia dei dati informatici originariamente presenti, così provocando il malfunzionamento del sistema informatico aziendale e impossessandosi dei dati originariamente esistenti, che in parte venivano ritrovati nella disponibilità dell’imputato su computer da lui utilizzati”. La prima azienda, dunque, ricorreva innanzi al Tribunale competente per vedere dichiarare il dipendente colpevole del reato di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p. Tanto in primo, quanto in secondo grado, il lavoratore veniva ritenuto colpevole.

LA DECISIONE DELLA CORTE- La Suprema Corte di Cassazione, innanzitutto, si è soffermata sulla  possibilità di qualificare i dati informatici, in particolare singoli files, come cose mobili, ai sensi delle disposizioni della legge penale e, specificamente, in relazione alla possibilità di costituire oggetto di condotte di appropriazione indebita“.

Sul punto, il Collegio ha ricordato che recentemente la giurisprudenza ha affermato “(…) la possibilità che oggetto della condotta di furto possono essere anche i files” e dunque, ha affermato che “(…) pur se difetta il requisito della apprensione materialmente percepibile del file in sé considerato (se non quando esso sia fissato su un supporto digitale che lo contenga), di certo il file rappresenta una cosa mobile, definibile quanto alla sua struttura, alla possibilità di misurarne l’estensione e la capacità di contenere dati, suscettibile di esser trasferito da un luogo ad un altro, anche senza l’intervento di strutture fisiche direttamente apprensibili dall’uomo”. Allo stesso tempo, la Corte ha ritenuto pacifico che “le condotte dirette alla sottrazione, ovvero all’impossessamento del denaro, possono esser realizzate anche senza alcun contatto fisico con il denaro, attraverso operazioni bancarie o disposizioni impartite, anche telematicamente; ciò che non impedisce certo di ravvisare in tali condotte le ipotesi di reato corrispondenti”.

Su tali presupposti, rigettando il ricorso del dipendente, il Collegio ha dunque concluso ritenendo che “(…) i dati informatici (files) sono qualificabili cose mobili ai sensi della legge penale e, pertanto, costituisce condotta di appropriazione indebita la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi dì lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer formattato”.

Il testo completo della decisione: Cassazione Penale, Sez. 2, Sentenza n. 11959 del 2020

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