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Sull’utilizzabilità del rito d’urgenza in tema di sicurezza sul lavoro

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Sull’utilizzabilità del rito d’urgenza in tema di sicurezza sul lavoro

Con Sentenza n. 5685 del 4 marzo 2020, il Tribunale di Napoli, Sez. Lavoro, ha affermato che il lavoratore che versi in uno stato precario di salute ha diritto ad agire in via d’urgenza per evitare di essere trasferito in una sede aziendale più insalubre e, dunque, nociva per le sue condizioni di salute.

IL FATTO- Un lavoratore, affetto da gravi patologie respiratorie, proponeva ricorso d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., al fine di impugnare il proprio trasferimento presso un’altra sede aziendale ritenuta più insalubre.
Avverso l’ordinanza di accoglimento spiegava reclamo la società datrice.

LA DECISIONE DELLA CORTE- Il Tribunale di Napoli ha affermato in via preliminare che:

  • in un’ottica garantista, bisogna consentire al lavoratore, in caso di vera necessità, di usufruire liberamente della procedura d’urgenza, per ottenere una pronta soluzione alla problematica sollevata in sede giudiziale;
  • ai fini dell’accoglimento di tale domanda, è necessario che l’intervento del giudice sia volto ad evitare – nelle more della trattazione del giudizio di merito – l’evento dannoso paventato o comunque gli effetti pregiudizievoli che devono essere attuali o incombenti.

Tanto premesso, ad avviso del Collegio l’accoglimento della domanda d’urgenza proposta dal lavoratore sarebbe giustificato dalla rilevanza della lesione del bene/interesse costituzionalmente rilevante, quale quello alla salute del dipendente, documentante provata. Inoltre, il fondamento della domanda risiederebbe nella sussistenza del requisito del periculum, ossia del pregiudizio imminente ed irreparabile, derivante dall’esposizione del dipendente alla presenza di fumi e polveri sottili, particolarmente presenti nello stabilimento di adibizione.

Sulla scorta di tanto, dunque, il Tribunale di Napoli ha rigettato il ricorso dell’azienda datrice.

Il testo completo della decisione: Tribunale Napoli, Sez. Lavoro, Sentenza n. 5685 del 2020

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