Gruppo societario: nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo l’obbligo di ripescaggio incombe solo sull’azienda datrice di lavoro
Con Ordinanza n. 1656 del 24 gennaio 2020, la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ha affermato che nel caso in cui il dipendente di un gruppo societario licenziato per giustificato motivo oggettivo non chiami in causa tutte le imprese del gruppo, è tenuta ad assolvere l’obbligo di repechage esclusivamente l’azienda titolare
IL FATTO- Una lavoratrice impugnava giudizialmente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo che le era stato irrogato a seguito della soppressione della propria posizione.
Questa deduceva la violazione dell’obbligo di repechage da parte della società datrice, sostenendo che tale onere dovesse essere adempiuto anche con riferimento ai dipendenti di un’altra azienda del gruppo in favore della quale la lavoratrice aveva prestato la propria attività. Il Tribunale di prime cure accoglieva le ragioni della lavoratrice, mentre la Corte d’Appello rigettava l’impugnativa.
LA DECISIONE DELLA CORTE- Confermando quanto statuito in secondo grado, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato, preliminarmente, che:
- in presenza di un gruppo societario, i rapporti di lavoro dei dipendenti vanno imputati rispettivamente alle aziende che ne sono titolari, a meno che non sia riscontrabile un’utilizzazione impropria dello schema societario;
- l’esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro debba essere sempre accertata dal Giudice di merito.
Atteso che nel caso di specie pur esistendo di fatto un unico centro d’imputazione datoriale, questo era solo apparentemente frazionato in più imprese e lavoratrice aveva chiamato in causa soltanto la società datrice, il Collegio ha ritenuto che l’obbligo di repechage dovesse essere limitato ai dipendenti della stessa e non potesse, invece, essere esteso alle altre aziende del gruppo.
Su tali presupposti, dunque, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della dipendente.
Il testo completo della decisione: Cassazione civile, Sez. Lavoro, Ordinanza n. 1656 del 2020